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I criteri di identificazione e segmentazione della clientela PARTE SECONDA

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Di norma, la segmentazione iniziale della clientela fa riferimento a due criteri finanziari, l’uno avente natura di stock, la ricchezza disponibile, e l’altro tipicamente di flusso, il reddito. La prima viene considerata nella sua globalità, non distinguendo cioè le tipologie dei beni che la costituiscono, anche se una decisa preferenza viene attribuita alla componente liquida, vale a dire quella rappresentata da strumenti finanziari, pure se non sempre caratterizzati da un elevato grado di negoziabilità su mercati organizzati, componente che per sua natura più facilmente può costituire oggetto di gestione da parte degli intermediari finanziari.

La soglia quantitativa minima si attesta abitualmente intorno al milione di dollari (Affluent investor), anche se non mancano casi, come si vedrà in seguito, dove vengono considerati affluent anche i soggetti che dispongono di livello di patrimonio inferiori a quello indicato. Esistono poi due livelli superiori, per i quali il limite discriminante è indicato tra i 10 e i 25 milioni di dollari rappresentati rispettivamente dagli HNWI e dai VHNWI.

L’ampiezza del range trova giustificazione nel diverso significato attribuito qui al termine patrimonio: mentre nel caso degli affluent esso rappresenta quello effettivo, poiché tali soggetti tendono ad affidare la propria ricchezza a un unico intermediario, e questo spiega in parte la ragione per la quale vengono spesso offerti servizi di asset management anche ad individui che non arrivano a raggiungere la soglia minima indicata, per le altre due categorie il patrimonio gestito è spesso e volentieri solo quello potenziale, data l’attitudine di questi soggetti a suddividere presso più private banker la propria ricchezza . Ciò è del resto confermato anche dalla periodica indagine svolta dalla Pricewaterhouse sull’attività di private banking in Europa.

Solo un ristretto numero (il 4%) di private banker contattati ritiene infatti di riuscire a gestire la quasi totalità del patrimonio dei propri clienti (tra l’81 e il 100%), mentre più ragionevolmente la metà stima tra il 41 e l’80% la ricchezza complessivamente loro affidata, anche se la situazione appare notevolmente diversificata in base all’ubicazione geografica e alla dimensione degli intermediari: è stato infatti osservato che più quest’ultima appare limitata, maggiore risulta la percentuale di ricchezza complessivamente affidata dal cliente in gestione.

Sebbene la non esclusività possa costruire un fattore potenzialmente destabilizzante nella relazione con la propria clientela, data la possibilità per la stessa di effettuare comparazioni in termini di qualità del servizio, sistema di tariffazione e performance ottenute tali da determinare l’abbandono di un intermediario a favore di un altro, vi è tuttavia un giudizio abbastanza unanime nel rilevare che proprio tale circostanza deve costituire uno stimolo per il miglioramento dei servizi offerti, e in particolare di quelli considerati “ancillari”, al fine di minimizzare le sfide competitive che si presentano.

È  stato comunque individuato un limite, al di sotto del quale un individuo non dovrebbe presentare elementi di attrazione per il private banker, stimabile intorno ai 100mila dollari: solamente il 10% della clientela risulta, infatti, attestarsi su posizioni inferiori rispetto a quella indicata. Occorre in ogni caso tenere presente che, a livello mondiale, sono stimate in sole cinque milioni le persone che dispongono di un patrimonio, espresso in  attività  liquide, superiore al milione di dollari, mentre i nuovi affluent, la cui ricchezza è appunto valutabile in un importo maggiore di 100mila dollari, raggiungono i cento milioni circa.

21/01/2009 | Categorie: Mondo consulenti Firma: Vincenzo Polimeno