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Bolle finanziarie, i fattori da considerare

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A volte ritornano. In maniera più o meno ciclica, a seguito di un’impennata delle richieste da parte dei consumatori quando si tratta di beni materiali, attraendo parallelamente l’interesse di investitori e speculatori in ambito finanziario. Di bolle finanziarie e speculative si sente parlare costantemente, a volte più per le loro presunte minacce, che non per l’effettivo scoppio. Senza dover creare clamori e allarmismi, è bene mantenere l’attenzione verso quei fenomeni che subiscono un’accelerazione rapida e quasi incontrollata per capire se vi siano le condizioni per l’effettiva tenuta dal punto di vista economico e finanziario e per evitare di subire perdite derivanti dalle ricadute anche quando lo scoppio interessa un’altra economia.

Da questo punto di vista, il concetto di “Rinoceronte grigio” è estremamente utile, soprattutto nella prospettiva di guardare ai problemi in un’orizzonte più ampio, che ne consideri le diverse sfaccettature e che tenga conto anche della tempestività per poter pianificare azioni coerenti e in linea con gli obiettivi prefissati ed evitare una situazione di panico.

I fattori che portano allo scoppio delle bolle

I fattori che conducono allo scoppio delle bolle finanziarie sono molteplici: spesso l’eccessivo entusiasmo e l’euforia del mercato innestano ulteriori meccanismi che ne alimentano la portata. Le bolle finanziarie spesso iniziano con un periodo di euforia e speculazione, in cui gli investitori diventano eccessivamente ottimisti riguardo alle prospettive di un asset particolare: ciò porta ad un aumento dei prezzi che supera di gran lunga il valore intrinseco dell’asset. Le bolle spesso si basano su fondamentali deboli o addirittura inesistenti: gli investitori ignorano i fondamentali economici e acquistano asset basandosi sulle aspettative di guadagno rapido.

Attraverso il meccanismo dell’effetto gregge, gli investitori tendono ad imitare gli altri investitori, alimentando ulteriormente l’aumento dei prezzi durante la fase di crescita della bolla, con la possibilità che si giunga ad un’accelerazione del ciclo di bolla. Inoltre, per effetto del comportamento irrazionale, gli investitori possono diventare irrazionalmente ottimisti e ignorare segnali di avvertimento riguardanti i prezzi gonfiati. I movimenti dei prezzi possono essere altresì modificati da un uso eccessivo di leva finanziaria: gli investitori possono accedere a finanziamenti per acquistare asset, aumentando così la domanda e il prezzo.

Una volta che la bolla raggiunge il suo apice, può avvenire una correzione improvvisa e violenta quando gli investitori iniziano a vendere i loro asset per incassare i profitti o per evitare perdite; il crollo di una bolla finanziaria in un mercato può influenzare altri mercati, creando un effetto domino e amplificando la volatilità dei prezzi.

In questo contesto, riprendendo la teoria della riflessività di George Soros, vediamo come in ambito finanziario esiste un meccanismo circolare in cui le percezioni degli investitori influenzano la realtà economica e, viceversa, la realtà economica influisce sulle percezioni degli investitori: questo ciclo di influenze reciproche può portare a una divergenza tra i prezzi di mercato e i valori fondamentali degli asset, creando un equilibrio instabile. Soros ha utilizzato questa teoria per comprendere la formazione, lo sviluppo e il crollo delle bolle speculative, come ad esempio la bolla dot-com del 2000. Le percezioni e le azioni degli investitori possono alimentare un aumento irrazionale dei prezzi, che alla fine porta al crollo quando la realtà economica non può sostenere tali valutazioni elevate.

La bolla del debito pubblico

Le economie avanzate cercano di alimentare la crescita e arginare gli intoppi economici legati allo scenario e al contesto geopolitico sostenendo la spesa pubblica: in un anno elettorale come il 2024, sono molteplici le promesse di nuovi investimenti da parte degli Stati per dare nuovo vigore allo sviluppo economico dopo anni piuttosto difficili.

La preoccupazione riguarda il fatto che il debito dei governi è cresciuto del 7% nel 2023, raggiungendo i 102 trilioni di dollari; si tratta di un aumento guidato inizialmente dalla pandemia di COVID-19, che ha costretto i governi a spendere ingenti somme per sostenere le economie e per finanziare le misure di stimolo fiscale introdotte per sostenere la crescita economica. In presenza di tassi alti, le spese per interessi rischiano di esplodere. I governi, infatti, finanziano la spesa del debito attraverso l’emissione di titoli di Stato, in questo momento, nel contesto europeo e italiano molto appetibili per gli investitori. Fino a quanto la spesa per interessi potrà essere sostenibile se non vi sarà una crescita forte e stabile e il tentativo di ridurre il deficit?

Bisogna inoltre considerare che con la stretta quantitativa, la Banca Centrale Europea ha ridotto il finanziamento del debito dei propri Paesi membri mediante l’acquisto di titoli di debito governativi e i governi fanno leva sui risparmiatori. Riportiamo una riflessione dell’Osservatorio dei Conti Pubblici, che spiega come gli investitori non si preoccupano se sanno che lo stato potrà far fronte alla spesa per interessi aumentando le tasse o anche riducendo le spese. Essi hanno invece buoni motivi per preoccuparsi, specie se il livello del debito è elevato e l’avanzo primario non è sufficiente per determinarne una tendenza alla riduzione in rapporto alla dimensione dell’economia. Invece, la situazione è più grave quando il tasso d’interesse è persistentemente maggiore del tasso di crescita dell’economia: questa situazione genera il cosiddetto “effetto palla di neve”, ossia l’accumulo di debito per effetto dell’interesse composto, che obbliga a tenere un livello più elevato dell’avanzo primario.

Lo stessa situazione vale per il debito pubblico statunitense: in presenza di tassi d’interesse più elevati e in assenza di misure efficaci di politica fiscale volte a ridurre la spesa pubblica o ad aumentare le entrate, l’agenzia di rating Moody’s prevede che i deficit fiscali degli Stati Uniti rimarranno molto elevati, indebolendo in modo significativo la sostenibilità del debito. In un periodo economico contrassegnato da tassi di interesse elevati la situazione è ulteriormente critica e il governo degli Stati Uniti potrebbe avere difficoltà nel reperire fondi attraverso prestiti senza adottare misure adeguate per controllare la spesa o aumentare le entrate. Tutto ciò potrebbe, alla fine, ostacolare in modo significativo la capacità del governo di operare in modo efficiente.

Per quanto riguarda le economie emergenti, il tema del debito è cruciale: con tassi di interesse elevati e un dollaro che si prevede rimanga forte, c’è un rischio crescente di un aumento dei casi di insolvenza. E’ un grave problema soprattutto per quei Paesi che hanno contratto debiti in dollari, ma anche nel caso in cui i debiti siano espressi in valuta locale la situazione non è più rosea, questo perché molti governi hanno optato per aumentare ulteriormente il loro debito e finanziare spese correnti aggiuntive. I debiti in valuta locale sono diventati spesso il principale fardello per i loro bilanci, con tassi di interesse molto più elevati rispetto a quelli sui debiti denominati in dollari. Alcune economie emergenti, come lo Sri Lanka, il Ghana, l’Etiopia, il Malawi, il Pakistan e il Laos, si trovano già in default o sono vicini ad esso.

Febbre bitcoin, la criptovaluta al banco di prova

Da fine 2023, il valore di Bitcoin è tornato a salire, dopo un periodo di relativa stabilità. Per molti esperti, la crescita è stata determinata dalla prospettiva di un possibile cambiamento nella politica dei tassi di interesse della Federal Reserve degli Stati Uniti e l’approvazione da parte della SEC dell’ETF Bitcoin. Si pensava che tassi d’interesse più bassi avrebbero spinto gli investitori ad assumere maggiori rischi, mentre l’approvazione dell’ETF avrebbe reso il bitcoin più accessibile a Wall Street.

“Il problema non è mai stata la mancanza di possibilità di speculare utilizzando bitcoin, ma piuttosto il fatto che si tratta solo di speculazione. Infine, è incredibilmente ironico che l’unità crypto che si era prefissata di superare il demonizzato sistema finanziario consolidato abbia bisogno di intermediari convenzionali per diffondersi a un gruppo più ampio di investitori“. Sono queste le parole degli esperti Ulrich Bindseil e Jurgen Schaaf, rispettivamente direttore generale e consigliere del dipartimento di pagamento e infrastrutture di mercati della Banca Centrale Europea.  La preoccupazione dei due esperti riguarda il fatto che gli investitori retail, meno esperti dal punto di vista finanziario, siano “attratti più dalla paura di perdere l’occasione, che li porta potenzialmente a perdere i loro soldi”. Insomma, quella che viene definita come FOMO, fear of missing out.

Ad aprile è atteso un nuovo halving di Bitcoin, un’operazione per ristabilire le ricompense dei miner, che passeranno da 6,25 a 3,125 Bitcoin per blocco. Dal momento della sua creazione, Bitcoin ha previsto che ogni 4 anni vi sia un dimezzamento del valore pagato ai miner per la creazione di nuove criptovalute: l’operazione dovrebbe proseguire fino al 2140, quando la produzione arriverà al tetto massimo previsto di 21 milioni di monete. Secondo quanto riportato dall’esperto Ferdinando Ametrano, CEO di CheckSig, durante un’intervista per FinanceTV, l’halving è anche “uno straordinario strumento di marketing in grado di riaccendere i riflettori sulla criptovaluta in modo periodico”.

Di fatto, oggi, chi compra Bitcoin sta appunto puntando sul fatto che il suo prezzo continuerà a salire e pare che il prezzo sia l’unica componente a governare le aspettative: perciò si teme che se i prezzi dovessero scendere bruscamente, i possessori di Bitcoin se ne vorranno subito sbarazzare, secondo le logiche che guidano le bolle speculative. Gli stessi esperti della BCE hanno dichiarato che il livello dei prezzi del Bitcoin non è un indicatore della sua sostenibilità: “non esistono dati economici fondamentali, non esiste un fair value da cui si possano ricavare previsioni serie e come in una bolla speculativa non esiste alcuna prova del prezzo”.

Come evidenzia anche Ferdinando Ametrano, Bitcoin può rappresentare un’alternativa di diversificazione degli asset in portafoglio e ricorda come sia consigliabile, anche in relazione alla propensione al rischio dell’investitore, non eccedere dalla destinazione della quota in portafoglio tra il 2 e il 4%.

Bitcoin è destinato ad essere rivalutato in quanto strumento finanziario? La sua crescita legata al lancio dell’ETF dedicato e questo nuovo momento di attenzione del mercato possono rappresentare un banco di prova per la tenuta della celeberrima criptovaluta. E per quanto riguarda le altre criptovalute? Anche esse stanno vivendo un momento di risveglio trascinate dall’entusiasmo degli investitori per Bitcoin, ma, come riportato da Forbes in un articolo dettagliato qualche mese fa, data la facilità con cui si possono creare nuove criptovalute, è fondamentale rimanere vigili: delle oltre 20.000 criptovalute attualmente sul mercato, ce ne sono alcune che dopo il lancio riescono a resistere, anche se sono una minoranza.

Una nuova dot com? I titoli tech sotto la lente

Nell’ambito del mercato azionario statunitense, si osserva una netta distinzione tra un gruppo ristretto di titoli ad alta capitalizzazione e il resto del mercato: l’attenzione degli investitori è indubbiamente concentrata sui “Magnifici Sette”: Amazon, Apple, Alphabet, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla. Queste aziende hanno attualmente valutazioni molto elevate che fanno pensare a una nuova bolla tecnologica.

L’assunto degli analisti è che la bolla si basi più sulle valutazioni e non sui fondamentali: le attività di queste società vanno abbastanza bene, ma con la maturazione di questi mercati sarà probabilmente più difficile per loro guadagnare ulteriori quote di mercato e la loro posizione è ormai così dominante che sarà difficile per loro crescere nei prossimi dieci anni come hanno fatto negli ultimi dieci. Eppure, il multiplo di queste aziende è più alto di quello di dieci anni fa.

Il tema è stato inoltre portato all’attenzione da un articolo di Morningstar: “Era dai tempi della bolla tecnologica del 2000 che non si vedevano questi numeri e questo potrebbe far correre un brivido nella schiena degli investitori che vissero l’esplosione di quella bolla. Ma anche chi è più giovane deve sapere che se detiene fondi o ETF (Exchange traded fund) azionari sul mercato americano, in questo momento, è largamente sovraesposto al settore tech. Inoltre, non serve andare troppo indietro nel tempo per vedere come i titoli tecnologici possono sgonfiarsi rapidamente. Nel 2022, l’indice Morningstar US Technology ha perso oltre il 27%, facendo molto peggio di Wall Street nel suo complesso a causa dell’aggressivo rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve”.

11/03/2024 | Categorie: Economia e Dintorni , Investimenti Firma: Redazione