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Spagna: da rischio default a paradiso fiscale.

I cittadini sostengono le manovre post crisi, e intanto le multinazionali evadono legalmente il fisco. Due anni fa il Guardian aveva denunciato il fisco creativo delle corporation britanniche.

ZERO TASSE. La denuncia l’ha presentata El País, il più diffuso e prestigioso quotidiano di Spagna. ExxonMobil Spain, filiale madrilena della più grande corporation del Pianeta (383 miliardi di dollari di ricavi annuali), ha accumulato negli ultimi due anni 9.907 milioni di euro di profitto lordo. Ed altrettanti di profitto netto. Tradotto: ha versato esattamente zero euro di tasse. Ma la storia non si conclude qui. Perché, a quanto pare, per una serie di complicate ragioni, nel corso del 2009 la filiale iberica della multinazionale Usa sarebbe riuscita nell’impresa di registrare un imponibile negativo di un milione e mezzo. In altri termini, il fisco spagnolo le deve ancora dei soldi. E non manca ovviamente l’aspetto comico: sapete quante persone lavorano per Exxon Spain? Una. Che scuce alla compagnia appena 44 mila euro all’anno.

Sembra folle eppure, come si diceva, è tutto logico quanto legale. Colpa di un regime fiscale favorevole capace di trascinare in Spagna le multinazionali di mezzo mondo ma anche di trasformare il Paese in vero e proprio paradiso fiscale. Il principio della legge è chiaro: impedire che una corporation paghi le tasse contemporaneamente sia sui profitti della casa madre sia su quelli della filiale. E poco importa che la struttura proprietaria distribuisca le società della catena nei paradisi veri e propri, magari appena dietro casa.

UN ESEMPIO su tutti: nel 2009 la ExxonMobil Luxembourg, che ovviamente ha sede nel Granducato, ha versato alla sua azionista ExxonMobil Spain un dividendo di 3,65 miliardi. Grazie alla normativa contro la doppia tassazione tale cifra non è stata sottoposta al prelievo. La stessa holding spagnola ha successivamente girato due tranches di 2,26 e 1,38 miliardi rispettivamente alla casa madre statunitense ottenendo a rigor di legge la completa esenzione fiscale. Quello di Exxon, ricorda El País, non è certo un esempio isolato. Multinazionali come Google (che ha holding sparse tra l’Olanda, l’Irlanda e il resto del mondo che le permettono di subire negli Usa un’imposizione reale del 2,4%) ma anche Vodafone, Hewlett Packard, American Express e General Mills si avvalgono delle medesime strategie contabili. Pare inoltre che Facebook che stia tuttora studiando una soluzione simile.

L’ingiustizia ai danni dei contribuenti spagnoli non è diversa da quella che si accanisce da anni sui taxpayers britannici. Un’inchiesta condotta due anni fa dal Guardian rivelò ad esempio che il colosso delle bevande Diageo aveva trasferito la proprietà di celebri marchi miliardari come Johnnie Walker, J&B e Gilbey’s gin a una propria filiale olandese ottenendo, de facto, una pressoché totale esenzione fiscale con un ammontare delle imposte pagate pari ad appena 43 milioni di sterline a fronte di profitti annuali di circa 2 miliardi. La pressione fiscale effettiva “patita” dall’azienda, in altre parole, era stata del 2%.

FINANZA CREATIVA. Esempi analoghi erano regolarmente forniti da altri giganti come Glaxo, Astra e Shell e non stupiva che, secondo i dati dell’agenzia delle entrate del Regno Unito, nel 2006 quasi i due terzi delle 700 principali compagnie britanniche avessero pagato imposte inferiori ai 10 milioni di sterline e che il 30% non avesse sborsato nemmeno un penny. A raggiungere la vetta della finanza creativa era stata però la major del settore pubblicitario WPP Group. Attraverso un’impressionante serie di operazioni contabili, regolarmente bloccate e altrettanto regolarmente sostituite da contromosse ancor più spericolate, la compagnia riuscì a versare nelle casse dell’erario meno di 5 milioni di sterline in sei anni. Nel 2008 non pagò di fatto alcuna tassa in Gran Bretagna

09/03/2011 | Categorie: Economia e Dintorni Firma: Denise Tagnin