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L’Italia? Non è certo il Paese dell’uguaglianza economica.

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Una recentissima indagine della Banca d’Italia sulla distribuzione della ricchezza in Italia (che trovate integralmente in allegato) ha evidenziato come nel periodo dal 1993 al 2008 le retribuzioni lorde per unità di lavoro dipendente, deflazionate con l’indice del costo della vita, che costituiva il riferimento per la contrattazione, siano cresciute a un tasso moderato, pari su base annua allo 0,6 per cento. Utilizzando il deflatore dei consumi nazionali delle famiglie, che a differenza dell’indice dei prezzi al consumo include i fitti imputati per le abitazioni di proprietà, l’incremento appare ancor più contenuto, appena lo 0,2 per cento all’anno.
Questo andamento si contrappone alla crescita molto più sostenuta degli anni precedenti: dal 1970 al 1993, per esempio, le retribuzioni pro capite erano aumentate in media del 2,5 per cento all’anno utilizzando l’indice dei prezzi al consumo e del 2,1 utilizzando il deflatore dei consumi di contabilità nazionale. Tale dato è probabilmente da mettere in relazione con il forte aumento al ricorso a forme di lavoro “atipico”: a tempo determinato, interinale, di collaborazione coordinata e continuativa od occasionale. Oltre a contenere il costo di utilizzo del lavoro, queste forme hanno contribuito a moderare la dinamica delle retribuzioni medie, anche attraverso retribuzioni più basse per i lavoratori temporanei.

I redditi personali sono rilevati nell’Indagine sui bilanci delle famiglie italiane (IBFI) condotta dalla Banca d’Italia dagli anni sessanta, con cadenza annuale fino al 1987 e biennale successivamente. Le statistiche qui discusse utilizzano una definizione di reddito familiare che comprende tutti i compensi (per lavoro dipendente e autonomo, le pensioni pubbliche e private, i sussidi di disoccupazione, le prestazioni di assistenza sociale e i redditi da capitale reale e finanziario) percepiti dai componenti della famiglia, al netto delle imposte e dei contributi sociali pagati.

Ne emerge come la disuguaglianza dei redditi disponibili è diminuita considerevolmente dai primi anni settanta fino al 1982, con l’eccezione del biennio 1978-79. Ha quindi avuto un andamento altalenante fino al brusco aumento registrato tra il 1991 e il 1993, che ha riportato l’indice di Gini (quello più frequentemente usato per misurare la disuguaglianza della distribuzione dei redditi e varia, per valori non negativi, tra 0 quando vi è perfetta uguaglianza e 1 quando il reddito è interamente nelle mani di una sola persona; è dato dalla distanza media normalizzata dei redditi di tutti gli individui da quelli di tutti gli altri) ai valori del 1980.

Da allora, nonostante qualche oscillazione, l’indice non ha mostrato alcuna chiara tendenza di lungo periodo do, né ascendente, né discendente: per esempio, un aumento tra il 1995 e il 1998 è stato riassorbito nel biennio successivo.

Nella Fig. 6 (foto in alto) è rappresentata, per le stesse definizioni di reddito precedenti, l’evoluzione della quota di reddito percepita da ciascun quinto della popolazione posta in ordine crescente di reddito. La dinamica della quota del 20 per cento più ricco degli individui segue da vicino quella dell’indice di Gini. Prendendo il reddito disponibile non comprensivo di interessi e dividendi, tra il 1973 e il 2006 la quota del quinto più ricco è caduta di quasi 6 punti percentuali a beneficio del resto della popolazione.
Negli anni settanta, i progressi maggiori sono stati registrati dal quinto più povero e, in misura inferiore, da quello immediatamente successivo; dal 1981 al 1991 le loro quote di reddito sono rimaste abbastanza stabili, rispettivamente intorno al 7 e12 per cento, ma nel 1993 sono entrambe tornate al

livello del 1980. La quota del quinto più povero ha in parte recuperato tra il 1998 e il 2006, mentre quella del secondo quinto non è cambiata.

Nella Fig. 7 (seconda immagine) è, infine, mostrata la dinamica dell’incidenza delle povertà, identificata con la quota di persone che hanno un reddito equivalente inferiore a una frazione predeterminata del reddito equivalente mediano: 50, 60 e 70 per cento. L’andamento della povertà è simile a quello dell’indice di Gini. Con una soglia fissata al 50 o al 60 del reddito mediano, la quota di persone a basso reddito ha toccato un minimo nel 1982; è quindi salita negli anni successivi per poi ridiscendere a un nuovo minimo nel 1989; tra il 1991 e il 1993 ha subito un netto e brusco rialzo, rimanendo da allora sostanzialmente invariata. Alzando la soglia al 70 per cento della mediana, appaiono meno accentuati i cambiamenti tra il 1977 e il 1991 e l’aumento del 1993 porta la diffusione della povertà a un livello più elevato che negli anni precedenti, cui fa seguito una leggera discesa.

Nonostante che vi siano episodi di aumento della disuguaglianza dei redditi familiari, il più importante dei quali in coincidenza con la grave crisi economica dei primi anni novanta, non si osserva in Italia una fase prolungata di crescita della disuguaglianza, diversamente da quanto accaduto in altre economie avanzate, come gli Stati Uniti e il Regno Unito negli anni ottanta, la Svezia e la Finlandia negli anni novanta o la Germania nel decennio attuale (Brandolini e Smeeding 2008). D’altra parte, il livello della disuguaglianza e della povertà è in Italia elevato nel confronto internazionale, ben superiore a quello dei paesi nordici e dell’Europa continentale, in linea con quello degli altri paesi mediterranei e dei paesi di lingua inglese.

22/04/2009 | Categorie: Finanza personale Firma: Jonathan Figoli