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Il Bel Paese del “diritto acquisito mai più perduto”

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Con questo articolo si vuole aprire una sorta area tematica dedicata al funzionamento e alle criticità dell’attuale sistema previdenziale obbligatorio italiano. Si tratta di aspetti che, salvo poche particolarità marginali, sono stati definiti fin dal lontano 1995, nell’allora riforma Dini, e che, a 13 anni dalla loro esistenza, nonostante l’alternanza politica di governi di centrodestra e centrosinistra non sono mai stati modificati (negli aspetti essenziali) e che, soprattutto a mio parere, non sono mai stati portati a conoscenza della stragrande maggioranza degli interessati… ovvero di tutti gli italiani.

Prima della riforma Amato del 1992 la pensione era calcolata esclusivamente sulla base del reddito dell’ultimo anno antecedente l’entrata in pensione; di questo reddito ne veniva riconosciuto, senza alcuna ulteriore considerazione, l’80%. Questo comportava (e comporta tutt’oggi anche se come fenomeno, ovviamente, va scemando) che una persona poteva non aver versato alcun contributo durante tutta la sua vita lavorativa, farsi assumere da un amico imprenditore a 400.000.000 di Lire (ovviamente esagero volutamente, ma anche a queste cifre il discorso non cambiava) per l’ultimo anno lavorativo, restituirne (in nero) 399.000.000 Lire al datore di lavoro e dall’anno successivo riceverne 320.000.000 pagati… da noi italiani lavoratori.

Prima della riforma Dini del 1995 si poteva ricevere la pensione di anzianità, ovvero non legata ad un’età anagrafica ma esclusivamente al numero di anni di contributi versati, in alcuni casi, anche con solo 5 anni di contributi versati (erano solamente 2 anni di contributi versati per gli insegnanti). Ovvero se una persona lavorava tra i 25 e i 30 anni versava contributi per 5 anni e riceveva prestazioni per 50 anni… ed è difficile a 31 anni starsene già con le mani in mano…

Seppur questi due aspetti siano palesemente contro senso, soprattutto in un contesto come quello dell’Inps italiana non particolarmente roseo, nessuna autorità politica, nessun sindacalista o altra figura ha mai portato avanti una campagna convinta contro il “diritto acquisito mai più perduto”. Credetemi che, soprattutto per il secondo caso, ci sono ancora oggi persone che, in piena attività lavorativa (ovviamente non manifesta per non perdere il diritto alla pensione) continuano, da più di dieci anni e ancora per (auguro loro) molti anni, a ricevere delle prestazioni dalla “cosa” pubblica.

08/08/2008 | Categorie: Finanza personale Firma: Jonathan Figoli