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Esg, sale la “febbre” in Italia: boom di adesioni al Pri

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Continua a crescere l’attenzione dei mercati verso la finanza sostenibile

La ventata di attenzione verso l’Esg (Environmental, social and governance) e la finanza Sri (Socially responsible investing) che ha attraversato l’Europa nel 2018 si riflette nell’afflusso di firmatari dei Principi di investimento responsabile delle Nazioni unite (UnPri). Il fenomeno è visibile anche nel nostro Paese: l’Italia ha chiuso l’anno della svolta con sette adesioni, la quota più alta dall’introduzione dei Pri nel 2006. Entusiasmo, quello italiano, che continua a vedere conferme nelle prime settimane del 2019.

Il 2 gennaio si è registrata la firma di due nuovi soggetti, appartenenti alla stessa casa madre, Dea Capital: Dea Capital Real Estate Sgr Spa e Dea Capital Alternative Funds Sgr, entrambe nella categoria investment manager. Dea Capital RE, ex Idea Fimit Sgr, ha cambiato denominazione sociale il 5 ottobre del 2017 al termine del processo di fusione iniziato nel 2011 tra Fimit e First Atlantic, sotto il controllo del Gruppo De Agostini. DeA Capital Alternative Funds Sgr è un asset manager indipendente nel settore del private equity, con oltre 2 miliardi di euro di masse gestite, investite sia in fondi di fondi globali, sia in fondi diretti che investono prevalentemente in aziende italiane.

Non solo, il 16 gennaio anche Banor Capital ha annunciato il suo ingresso tra i firmatari dei Pri, e si attende la conferma del Fondo pensione per il personale delle aziende del Gruppo Unicredit. Nelle “Linee guida sugli Investimenti socialmente responsabili” pubblicate lo scorso 12 dicembre, il fondo dichiara di aver «scelto di aderire ai “Principles for Responsible Investment (PRI)”, promossi dalle Nazioni Unite nel 2006 per diffondere e sostenere l’investimento socialmente responsabile nella comunità finanziaria internazionale».

Il 2018 e la prima finestra del 2019 hanno dunque confermato la svolta di asset owner, gestori e service provider italiani, e se lo scorso anno ha chiuso con 28 firmatari, quello attuale si apre già a quota 30 e ne conta altri due ai nastri di partenza. L’adesione italiana ai Pri è andata avanti a rilento in questi dieci anni (il primo firmatario fu Pioneer Global Asset manager Spa a marzo del 2009), una media di circa due firmatari l’anno, e con un picco di 5 adesioni nel 2015. Per la precisione tra i firmatari italiani Alternative Capital Partners Srl ha siglato i principi lo scorso 31 maggio, e figura ancora come “Provisional Signatory” (firmatario provvisorio).

Certo, siamo ancora lontani dai numeri di altri Paesi. A livello mondiale si sono raggiunti (dati al 16 gennaio 2019) i 2.285 firmatari, quasi 90 in più rispetto all’ultima rilevazione del 6 novembre 2018, quando se ne contavano 2.174. Il maggior numero di sottoscrittori dei Pri ha sede negli Usa, con 417 soggetti aderenti, seguono Regno Unito (341) e Francia (199). L’Italia, nonostante il rinnovato interesse, resta ancora distaccata di parecchie lunghezze da Germania (82) e Spagna, quest’ultima però continua a segnare il passo e da settembre scorso si è fermata a quota 62 firmatari.

Rischio greenwashing

Intanto l’istituto ha iniziato un percorso di autocritica che porterà, verosimilmente all’esclusione di alcuni firmatari. Ben 185 soggetti finanziari che hanno sottoscritto i sei principi delle Nazioni unite hanno ricevuto, il 15 giugno 2018, la comunicazione di essere stati inseriti in una lista di controllo per il sospetto di una mancata aderenza ai principi e la parallela accusa di greenwashing avanzata già a ottobre 2017 dalla chief executive del Pri, Fiona Reynolds. Non si conosce l’identità dei firmatari richiamati, si sa soltanto che hanno due anni di tempo per mettersi in regola con i principi che hanno sottoscritto (al momento in cui si scrive il tempo a disposizione è sceso a 18 mesi).

Il greenwashing, d’altronde, è il rischio connesso alla finanza sostenibile paventato da diversi anni dagli analisti più attenti, ma su cui si è aperta una nuova fase di consapevolezza proprio negli ultimi mesi. A livello europeo l’Action Plan sulla finanza sostenibile ha istituito la necessità di una “tassonomia” che consenta di identificare i requisiti stringenti per gli attori dell’Esg, ma anche su altri fronti si moltiplicano le iniziative in tal senso. In Italia, ad esempio, sono aumentate le attenzioni delle associazioni di settore da Assogestioni che il 6 dicembre ha comunicato che la finanza sostenibile sarà il tema del prossimo Salone del risparmio, ad Asvis che a inizio di quest’anno ha richiamato le società a una maggiore attenzione verso chi si professa Sri. Il mercato è in una fase di entusiasmo ma, come sottolineato anche da ETicaNews, non sempre ha gli strumenti per comprendere a pieno la veridicità del gestore, del prodotto, delle strategie e degli asset sottostanti.

17/01/2019 | Categorie: Economia e Dintorni , Investimenti Firma: Redazione