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Israele e Iran: guerra lampo o operazione di propaganda?

Analisi geopolitica tra conflitti, nucleare e consenso. Qual è stata la reale finalità dell'attacco all'Iran?


La recente escalation tra Israele e Iran, durata appena 12 giorni, ha aperto interrogativi profondi: si è trattato davvero di un conflitto militare destinato a cambiare gli equilibri del Medio Oriente, oppure di un'operazione di propaganda per distogliere l’attenzione da altri fronti caldi, come Gaza o le difficoltà interne dell’amministrazione Trump?


Ne abbiamo parlato con l’esperto geopolitico Enrico Verga, per ricostruire cause, effetti e retroscena di questa guerra lampo.


Il ruolo di Israele: tra difesa, politica interna e strategie di consenso

Secondo Verga, Israele con il premier Benjamin Netanyahu vive una stagione politica complicata. Oltre alle indagini in corso per presunte responsabilità nella mancata prevenzione dell’attacco di Hamas, emergono anche scandali poco discussi in Italia, come i pagamenti provenienti dal Qatar a funzionari vicini a Netanyahu.


Il conflitto con Gaza si è trasformato in una guerra logorante, con un bilancio di circa 60.000 morti palestinesi (stima riduttiva) contro 1.000 vittime israeliane: un rapporto che sta minando la legittimità stessa del governo di Tel Aviv, accusato di aver superato ogni limite di proporzionalità.

In questo quadro, aprire un fronte con l’Iran ha avuto la funzione di ricompattare l’opinione pubblica israeliana: un nuovo nemico esterno su cui concentrare la narrativa politica, come già tentato in passato con Siria e Libano.


Iran: crisi interna e la nuova leadership

L’Iran, a sua volta, è un Paese in fermento. Dopo la morte sospetta del precedente presidente in un incidente di elicottero, la guida è passata a un riformista, teoricamente più aperto al dialogo con l’Occidente. Tuttavia Teheran resta attraversata da forti tensioni interne: movimenti per i diritti civili, in particolare delle donne, e proteste sociali che gli Stati Uniti tentano di sostenere a livello diplomatico.


Sul fronte militare, l’Iran ha investito moltissimo nello sviluppo missilistico, arrivando a costruire vettori ipersonici con velocità fino a Mach 15, capaci teoricamente di portare anche testate nucleari (sebbene non ci siano prove di test atomici effettivi).


La loro intercettazione è difficilissima, tanto che anche il sofisticato sistema israeliano Arrow, progettato per missili a lungo raggio, stava esaurendo le scorte nel giro di pochi giorni.


Stati Uniti: la mossa a sorpresa di Trump

Il terzo grande attore è l’America. L’amministrazione Trump ha approfittato della situazione per un’operazione ad altissimo valore simbolico: decollando dal Missouri con i bombardieri invisibili B2, ha mandato un messaggio globale di potenza, colpendo in modo chirurgico i siti iraniani più delicati, in particolare l’impianto nucleare di Fordow.


Gli iraniani, tramite media vicini al regime, hanno sostenuto di aver evacuato parte del materiale arricchito — circa 400 kg di uranio al 60% — prima del bombardamento, utilizzando camion per trasportarlo lontano. È una tesi credibile, perché l’uranio è molto denso e facilmente occultabile.

Alla fine di questo scambio di colpi, entrambe le parti hanno potuto “vincere”:

  • Israele ha rivendicato il blocco del programma nucleare iraniano;

  • Trump si è presentato come salvatore della stabilità regionale;

  • L’Iran ha dichiarato di aver resistito all’aggressione “sionista” e americana, mantenendo in vita parte del proprio arsenale strategico.

Un risultato che assomiglia molto a una vittoria di pubbliche relazioni per tutti, più che a un vero successo militare.


Le prospettive future

La domanda oggi è: la crisi israelo-iraniana è davvero conclusa? Formalmente sì, con un cessate il fuoco di fatto, spinto proprio dalla diplomazia americana. Tuttavia la polveriera mediorientale resta instabile: gli ostaggi ancora a Gaza, le tensioni interne in Iran, la crescita dei gruppi estremisti nell’area, fanno temere nuove fiammate.


Inoltre restano dubbi sul reale stato del programma nucleare iraniano, mentre la corsa agli armamenti continua, tra Iron Dome, Arrow, F-35 e missili ipersonici.

Il prezzo di petrolio e gas, sorprendentemente, non è schizzato come molti analisti prevedevano, segno che i mercati hanno letto questa guerra lampo come un conflitto “gestito” e non una reale escalation globale.



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