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Connessioni di potere: come comunicazione e tecnologia riscrivono il capitalismo

Dagli USA all’Europa, dai social network al debito pubblico: ecco come potere economico, tecnologia e geopolitica si intrecciano. Ne parliamo con Gian Carlo Cocco



La finanza come arma di potere

Il rapporto tra Stati Uniti ed Europa non è solo una questione di alleanze storiche, NATO o scambi commerciali. Alla base del legame – e delle frizioni – tra le due sponde dell’Atlantico, c’è un elemento spesso poco discusso: la finanza come strumento di dominio.


Gli USA, usciti vincitori dalle due guerre mondiali, si sono affermati come superpotenza anche grazie alla forza del dollaro. Questa valuta, divenuta pilastro del sistema internazionale, permette a Washington di imporre la propria agenda anche nei confronti dei partner europei. Ma la vera trasformazione recente è avvenuta sul fronte invisibile dei dati e della sorveglianza.


Dal “capitalismo produttivo” al “debitismo globale”

Un tempo il capitalismo si fondava sull’accumulazione di ricchezza attraverso la produzione. Oggi, come osservato da diversi economisti, viviamo in un’epoca in cui quasi tutti gli Stati sono pesantemente indebitati. Non si produce più ricchezza per crescere: si emettono debiti, che generano interessi da pagare. E questo sistema, paradossalmente, rafforza chi gestisce i flussi finanziari, non chi produce beni o innovazione.


In questo contesto, gli Stati Uniti mantengono il proprio dominio nonostante un debito pubblico astronomico. Come? Attraverso la pressione economica, i dazi commerciali, e soprattutto la capacità di imporre l’acquisto dei propri titoli del Tesoro. Chi li acquista finanzia, di fatto, il potere statunitense.


Il capitalismo della sorveglianza: quando i dati diventano la nuova materia prima

A fianco di questa egemonia economica si è sviluppata una forma più sofisticata e pervasiva di controllo: quella digitale.


Come descritto nel concetto di “capitalismo della sorveglianza” (elaborato dall’accademica Shoshana Zuboff), i dati personali sono diventati il nuovo petrolio del XXI secolo. Le big tech americane raccolgono ogni secondo milioni di informazioni: gusti, emozioni, abitudini, perfino le espressioni facciali. Non solo per profilare gli utenti, ma per influenzare i comportamenti e creare una realtà costruita su misura per ognuno. Tutto questo, spesso, senza che ce ne accorgiamo.


In nome della sicurezza – acuita dopo l’11 settembre – il controllo dei dati si è fuso con il potere politico e finanziario. L’Iraq, le armi mai trovate, il Patriot Act: tutto ha contribuito a costruire un sistema in cui la libertà individuale è subordinata alla sorveglianza digitale globale.


Quale ruolo per l’Europa?

In questo scenario complesso, l’Europa appare come una potenza dimezzata. Economicamente rilevante, tecnologicamente avanzata in settori chiave come la sostenibilità, ma politicamente subordinata. Alcuni analisti paragonano l’Unione Europea a una provincia dell’antica Roma: formalmente autonoma, ma in realtà cliente della superpotenza dominante.

Perché, allora, non ripensare il ruolo dell’Europa? Perché non investire nella transizione ecologica e nell’innovazione tecnologica etica, invece di inseguire un riarmo che ci snatura?


La posta in gioco: libertà, autonomia e futuro

Viviamo in un’epoca di trasformazioni profonde e non sempre visibili. Le decisioni economiche, le innovazioni tecnologiche e gli equilibri geopolitici sono sempre più interconnessi. In questo contesto, la difesa della nostra libertà passa anche dalla consapevolezza di questi meccanismi.

Pensiero critico, cultura finanziaria, attenzione ai propri dati: questi sono i veri strumenti per affrontare un futuro che si gioca, sempre più, dietro gli schermi e nei mercati.


Guarda l'intervista completa su FinanceTV.it o ascolta

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