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Più giovani, più donne, più talenti: la sfida del lavoro in un’Italia che invecchia

Invecchiamento della popolazione, calo delle nascite e bassa produttività: un mix pericoloso per il futuro economico del Paese. Ma esistono soluzioni.



L’impatto dell’invecchiamento demografico sull’economia italiana

Negli ultimi decenni l’Italia, come gran parte dell’Europa occidentale, sta affrontando un processo profondo e strutturale di declino demografico. Il calo delle nascite, combinato con l’invecchiamento della popolazione, sta generando effetti significativi sul tessuto economico e produttivo nazionale.


Secondo Romano Benini, docente universitario ed esperto di politiche del lavoro, “non si tratta di un’emergenza improvvisa, ma di un fenomeno noto da tempo, su cui però si è intervenuti troppo poco e troppo tardi”.


Un confronto impietoso: Italia vs Francia

Vent’anni fa, Italia e Francia contavano più o meno lo stesso numero di abitanti. Oggi, i francesi sono 10 milioni in più. Questo non è solo un dato statistico: è il riflesso di politiche familiari e demografiche più efficaci, che in Italia mancano da decenni.

Con un tasso di natalità stabile ma una popolazione femminile fertile in calo, il numero assoluto di nascite continua a scendere. Nel 1995 si contavano circa 550.000 nascite, mentre oggi siamo intorno alle 350.000, un crollo che non viene compensato nemmeno dall’immigrazione.


Meno popolazione attiva, più problemi per il mercato del lavoro

Il calo demografico ha come effetto diretto la riduzione della popolazione attiva, con gravi conseguenze sul mercato del lavoro e sulla crescita economica. Nonostante un incremento recente degli occupati, la produttività del lavoro resta stagnante. Questo significa che lavoriamo di più, ma non produciamo proporzionalmente più valore.

Secondo Benini, “l’Italia ha bisogno di due interventi prioritari: aumentare la partecipazione al mercato del lavoro e migliorare la produttività”.


Le tre grandi leve: donne, giovani e produttività
  1. Occupazione femminile. In Italia ci sono circa 2 milioni di donne inattive a causa del carico familiare o della mancanza di politiche di conciliazione. Facilitare il loro ingresso o rientro nel mondo del lavoro è essenziale per ampliare la base occupazionale.

  2. Giovani e NEET. I giovani italiani che non studiano né lavorano (NEET) sono ancora troppi, soprattutto nel Sud. Circa un milione tra i 15 e i 29 anni. Serve un investimento serio in formazione, politiche attive e servizi per l’impiego.

  3. Produttività. Il vero nodo critico è però la bassa produttività. Secondo l’UBS Global Wealth Report, l’Italia ha visto un lieve miglioramento della ricchezza mediana, ma la crescita del PIL resta anemica, intorno all’1-1,5%, a fronte di un aumento dell’occupazione del +4,5%.


Fuga dei cervelli e immigrazione qualificata

Ogni anno migliaia di giovani italiani laureati emigrano all’estero in cerca di stipendi più adeguati e maggiori opportunità. In parallelo, il nostro paese non è sufficientemente attrattivo per talenti stranieri.


Come sottolinea Benini, è necessario migliorare l’ecosistema lavorativo e industriale italiano, investendo in settori ad alto valore aggiunto (come manifatturiero di qualità, ICT, biotech), per offrire condizioni competitive ai nostri laureati.


Turismo, PA e sanità: settori a bassa produttività

Molti nuovi occupati si inseriscono in settori a bassa produttività, come la pubblica amministrazione, il sistema sanitario e il turismo. Settori essenziali, ma in cui la capacità di generare valore aggiunto è limitata.

Un dato simbolico: il premio di produttività della Dalmine Acciaio è pari allo stipendio annuo medio di un cameriere in Italia (circa €16.000). Un indicatore della scarsa remunerazione nei settori a bassa qualificazione.


Le politiche da attuare: una visione integrata

Le proposte emerse nell’intervista includono:

  • Riformare i servizi pubblici per l’impiego, rendendoli capaci di intercettare e formare i disoccupati.

  • Favorire l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro con servizi per l’infanzia e flessibilità.

  • Promuovere l’immigrazione qualificata, non solo manodopera a basso costo.

  • Trattenere i talenti con politiche fiscali, industriali e salariali mirate.

  • Puntare su produttività e innovazione tecnologica nei settori strategici.


Conclusione: dalla demografia all’economia, serve una strategia nazionale

Il legame tra demografia, lavoro e produttività è ormai ineludibile. L’Italia non può più permettersi di ignorare l’impatto che il declino della popolazione ha sull’economia. Serve un cambio di paradigma, che tenga insieme natalità, partecipazione al lavoro, innovazione e attrattività per i giovani.


Guarda l'intervista completa su FinanceTV o ascolta

il Podcast FinanceTV Talks - Le Voci dell'Economia

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