
Occupazione, salari e produttività: la sfida italiana tra crescita lenta e diseguaglianze persistenti
Tasso di occupazione e salari, quali considerazioni fare? Ne parliamo con la Prof.ssa Elsa Fornero
Negli ultimi anni, l'Italia ha registrato un incremento nel tasso di occupazione. Tuttavia, dietro questo dato apparentemente positivo si celano criticità significative: dalla bassa qualità dei nuovi impieghi al rallentamento della crescita salariale, fino alla persistente disuguaglianza tra il nostro Paese e il resto d’Europa. Per comprendere la reale portata di questa crescita occupazionale, è necessario analizzare in profondità le dinamiche del mercato del lavoro, il potere d’acquisto dei salari e la produttività del sistema economico italiano.
Occupazione in crescita, ma ancora fanalino di coda in Europa
Con un tasso di occupazione che si attesta intorno al 63%, l’Italia si colloca ancora agli ultimi posti tra i Paesi europei, superata solo dalla Grecia. La media UE è di circa il 67%, con punte superiori all'80% nei Paesi nordici. Sebbene il numero assoluto degli occupati sia aumentato, si tratta in gran parte di contratti precari, a tempo determinato o part-time involontari, con una retribuzione spesso al di sotto della soglia di dignità economica.
Un altro problema strutturale è rappresentato dal lavoro sommerso. Migliaia di persone lavorano senza tutele o contratti regolari, contribuendo così a un'occupazione "invisibile" che sfugge alle statistiche ufficiali, compromettendo le politiche di welfare e distorcendo la concorrenza tra le imprese.
Salari reali in calo da oltre vent’anni
Uno dei dati più preoccupanti è il trend dei salari reali italiani. Secondo i dati OCSE, negli ultimi 20 anni gli stipendi italiani, una volta corretti per l’inflazione, non solo non sono cresciuti, ma in molti casi sono diminuiti. Si tratta di un’anomalia nel contesto europeo e di un chiaro segnale della difficoltà del sistema economico italiano nel generare valore aggiunto e redistribuirlo equamente.
Questa stagnazione salariale colpisce soprattutto i giovani, le donne e i lavoratori del Sud, che si trovano spesso impiegati in settori poco produttivi e con scarse possibilità di carriera.
Bassa produttività: il vero nodo della competitività italiana
Alla base della stagnazione economica c’è un problema ancora più profondo: la scarsa crescita della produttività. Le imprese italiane – in particolare le piccole e medie imprese – sono spesso sotto-capitalizzate, con limitato accesso al credito e una struttura manageriale poco orientata all’innovazione.
Investire in capitale umano e tecnologico è fondamentale per rendere i lavoratori più produttivi e, di conseguenza, giustificare un aumento sostenibile dei salari. L’istruzione e la formazione professionale rappresentano leve strategiche per colmare il divario competitivo con le economie più avanzate.
Apprezzamento dell’euro: vantaggi e rischi
Nel breve periodo, il rafforzamento dell’euro rispetto al dollaro può sembrare vantaggioso per i consumatori europei, che vedono diminuire i costi delle importazioni, specialmente per beni energetici e materie prime. Tuttavia, un euro forte penalizza le esportazioni italiane, rendendo i prodotti meno competitivi sui mercati internazionali.
La situazione è aggravata da un contesto geopolitico instabile e da politiche economiche internazionali poco coordinate. In particolare, le tensioni commerciali e l’adozione di dazi da parte degli Stati Uniti hanno contribuito a una volatilità dei cambi che rende difficile pianificare investimenti e strategie industriali a lungo termine.
Conclusioni: una strategia strutturale per uscire dall’impasse
La questione salariale e occupazionale italiana non si risolve con misure emergenziali o bonus una tantum. Serve una visione sistemica e di lungo periodo che punti su:
Aumento della produttività
Investimenti in formazione e innovazione
Riforme strutturali nel mercato del lavoro
Riduzione del lavoro sommerso
Incentivi alla regolarizzazione e all’occupazione stabile
Solo attraverso una combinazione di interventi economici, educativi e sociali sarà possibile affrontare le disuguaglianze e rilanciare la crescita dell’Italia su basi più solide e inclusive.
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