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Produttività, innovazione e “longevity” come nuove variabili competitive per l'impresa di oggi

Il professor Bertelè analizza perché il Paese rischia di arretrare mentre il resto del mondo accelera – e cosa serve davvero per invertire la rotta.


In un contesto globale in cui Stati Uniti e Cina investono in modo massiccio nei settori strategici, l’Italia e l’Europa appaiono impreparate. Dalle sovvenzioni cinesi a BYD all’ingresso diretto dello Stato americano nel capitale di Intel, la linea è chiara: le potenze economiche stanno tornando a un intervento pubblico attivo e selettivo.


Gli anni delle privatizzazioni – in Italia e non solo – sono lontani. Eppure, il nostro debito pubblico è oggi ai massimi storici, senza che le privatizzazioni del passato abbiano risolto i nodi strutturali della crescita.


Da qui la domanda centrale affrontata dal professor Bertelè su Finance TV:

come può un Paese poco produttivo, poco innovativo e demograficamente in declino reggere la competizione internazionale?


Produttività: crescere dello 0,7% non basta più

Il professore è netto: quando festeggiamo un PIL allo 0,7% contro lo 0,3%, stiamo esultando per variazioni minime in un contesto in cui tutti gli altri corrono molto più velocemente.

La produttività italiana è stagnante da decenni e, senza un cambio di passo, il rischio è evidente:

se gli altri accelerano e noi restiamo fermi, in realtà stiamo andando indietro.

L’Italia ha avuto una tradizione industriale basata sull’ingegno, sulle idee nate sul campo da tecnici e artigiani che poi diventavano innovatori. Un modello che ha funzionato per decenni. Oggi però la scala competitiva è globale, e un sistema che cresce poco non può recuperare terreno.


Mancanza di una cultura dell’innovazione

Secondo Bertelè manca, prima di tutto, la consapevolezza collettiva del ruolo dell’innovazione:

  • non c’è piena comprensione dell’urgenza

  • non si percepisce il legame diretto tra innovazione, salari e benessere

  • la produttività stagnante alimenta frustrazione sociale


Quando la politica risponde ai malcontenti distribuendo denaro senza una prestazione corrispondente – pur con motivazioni comprensibili – le risorse pubbliche si disperdono, senza costruire crescita futura.


Debito pubblico e risorse scarse: perché diventa decisivo il risparmio privato

Con la popolazione che invecchia, la pressione su:

  • sistema pensionistico

  • welfare sanitario

  • sostenibilità del debito

diventa sempre più marcata.


Per questo, afferma il professore, serve un meccanismo virtuoso che indirizzi il risparmio privato verso attività produttive:

  • finanziare imprese

  • sostenere innovazione

  • aumentare la competitività

  • creare lavoro e remunerazioni più alte


Senza questo circolo virtuoso, il Paese rischia di rimanere intrappolato in una spirale di bassa crescita, malcontento sociale e scarsa capacità di investimento.


Cosa lasciamo alle generazioni future?

La preoccupazione del professore è profondamente generazionale. Chi ha vissuto gli anni della crescita e della stabilità ha beneficiato di condizioni irripetibili:

  • decenni di pace

  • sviluppo economico

  • espansione del welfare


Ma cosa rimarrà ai figli e ai nipoti?

La combinazione tra:

  • produttività ferma

  • demografia negativa

  • debito crescente

  • bassa innovazione

espone le nuove generazioni a rischi molto più elevati rispetto a quelli vissuti nel dopoguerra.


La vera sfida politica – non partitica – è far emergere una classe dirigente capace di comprendere queste dinamiche e guidare un cambiamento strutturale.


Conclusione

L’intervista offre un messaggio chiaro e razionale: per affrontare le sfide del futuro, l’Italia deve diventare più competitiva, più innovativa e più capace di utilizzare il proprio risparmio a favore dell’economia reale.

È un impegno culturale, economico e politico. E soprattutto, è un impegno verso le generazioni che verranno.

Guarda l'intervista completa su FinanceTV o ascolta

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