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Meno finanziamenti bancari e più capitali esteri: cosa ne sarà dell’impresa italiana?

Piccole imprese senza credito: perché il vero nodo italiano è il tracollo del modello bancario tradizionale






Negli ultimi vent’anni il sistema produttivo italiano ha vissuto una trasformazione profonda, spesso sottovalutata nella sua portata strutturale. Le grandi imprese sono state progressivamente acquisite da capitali stranieri; la piccola impresa, ossatura storica del Paese, è stata decimata. Solo una minoranza è sopravvissuta, spesso con enormi difficoltà.


Il quadro tratteggiato da Loretta Napoleoni in Economia Canaglia appare netto: il sistema economico italiano ha perso i suoi ancoraggi principali, e oggi chi vuole fare impresa – soprattutto giovane, artigiana o locale – non ha più accesso a un vero meccanismo di finanziamento.


Il crollo del modello bancario che sosteneva l’economia reale

Un tempo, il circuito era semplice e virtuoso:

  • il risparmiatore depositava in banca;

  • la banca utilizzava quel capitale per finanziare le piccole imprese del territorio;

  • l’impresa produceva, dava lavoro, generava valore;

  • e il risparmio tornava alla comunità sotto forma di benessere.


Era un sistema circolare, locale, basato sull’intermediazione pura: la banca era un ponte, non un venditore di prodotti finanziari.

Secondo Napoleoni, questo modello è stato smantellato da oltre vent’anni. Oggi le banche non svolgono più il ruolo di finanziatori dell’economia reale: vendono strumenti finanziari ai correntisti, spesso senza più alcun legame con il territorio.


Per un giovane che vuole aprire un laboratorio artigiano – falegnameria, officina, bottega – le opzioni sono sostanzialmente due:

  1. famiglia e amici,

  2. oppure nessuna alternativa reale.

Un sistema così non è sostenibile.


Perché una riforma bancaria è indispensabile (ma quasi impossibile)

Napoleoni individua nella riforma del sistema bancario l’unica via d’uscita credibile:

  • riportare le banche a finanziare l’economia locale;

  • riallineare risparmio ed economia reale;

  • restituire al credito la centralità che aveva.

Il problema? L’Italia non può farlo da sola.


Senza una banca centrale nazionale e con regole definite a livello BCE, ogni intervento dovrebbe essere armonizzato in tutta l’Unione Europea. Ma in Europa mancano sia visione comune sia volontà politica per ripensare il modello bancario.

Esistono esperienze interessanti – banche cooperative, Banca Etica – ma sono troppo piccole, troppo frammentate, troppo localizzate per incidere davvero sulla struttura del credito nazionale.


Imprese e territorio: ciò che stiamo perdendo

L’effetto sistemico è evidente:

  • meno credito locale;

  • meno nuove imprese;

  • meno occupazione;

  • meno crescita.


Si è rotto il patto che legava comunità, risparmio e attività produttiva. E mentre il sistema globale accelera, l’Italia si ritrova senza strumenti per sostenere i suoi talenti più giovani e le sue eccellenze artigiane.

Il rischio più grande? Che ciò che è stato spazzato via non possa più tornare.


Conclusione

Il mondo sta cambiando, spesso in direzioni discutibili. Ma proprio per questo occorre recuperare le migliori pratiche che hanno permesso all’Italia di crescere nel passato: credito locale, sostegno alle piccole imprese, un sistema bancario al servizio dei territori.


Un Paese che rinuncia alla propria infrastruttura produttiva rinuncia alla propria libertà economica.

Ripartire dalle basi non è nostalgia: è strategia.

Guarda l'intervista completa su FinanceTV o ascolta

il Podcast FinanceTV Talks - Le Voci dell'Economia

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