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Il rapporto fra la finanza e l'impresa e l'importanza del mercato dei capitali europeo

Dimensioni aziendali, accesso ai capitali e frammentazione europea: perché l’Europa resta indietro e cosa serve per invertire la rotta.



In Italia la discussione sul ruolo della finanza nello sviluppo delle imprese resta spesso intrappolata in visioni ideologiche o, peggio, in pregiudizi radicati. Eppure, come emerge chiaramente dall’intervista, la questione è più semplice e più strategica: senza una buona finanza, le aziende non crescono.


Non si tratta di affidarsi “solo” ai mercati, ma di comprendere che investimenti, valutazioni efficienti, accesso ai capitali e presenza sui mercati internazionali sono elementi essenziali per competere. Lo aveva capito perfettamente Leonardo Del Vecchio quando nel 1990 portò Luxottica a New York, aprendo la strada ai capitali globali in un’epoca in cui farlo non era affatto scontato.


Mentre aziende italiane come Ferrero, Barilla o Armani mantengono una struttura non quotata e fortemente familiare, la capacità di crescere, acquisire, innovare e “giocare” alla scala globale dipende proprio da quel ponte tra impresa e finanza che molti continuano a sottovalutare.


Finanza e imprese: una relazione indispensabile

Il punto è netto: la finanza non è un optional, ma una condizione necessaria.

Una valutazione efficiente, un accesso ordinato ai capitali, strumenti professionali come private equity e private markets: tutto questo è indispensabile per sostenere gli investimenti e permettere alle aziende di passare di categoria.


Il paradosso italiano, però, è evidente. Mentre gli Stati Uniti ragionano in termini di grandi dimensioni e grandi operatori – al punto che un banchiere americano chiese provocatoriamente quando sarebbe nata una “vera grande banca italiana” frutto di una fusione tra Intesa e UniCredit – l’Italia e l’Europa continuano a muoversi con un sistema frammentato, troppo piccolo per competere.


Il tallone d’Achille europeo: un mercato dei capitali che non c’è

Il tema si allarga rapidamente dal livello nazionale a quello europeo. L’Unione Europea era nata per costruire un grande mercato unico, prima sul carbone e sull’acciaio, poi sui beni e sui capitali. Ma questo obiettivo non è mai stato realizzato fino in fondo.

La realtà è che:

  • il mercato dei beni è unico solo sulla carta, frenato da normative locali che diventano vere e proprie barriere non tariffarie;

  • il mercato dei capitali europeo semplicemente non esiste in senso pieno.


Con 27 membri, ciascuno dotato di potere di veto su molte decisioni strategiche, costruire un’infrastruttura finanziaria unica è diventato quasi impossibile. Gli allargamenti successivi dell’Unione hanno ampliato il progetto politico, ma hanno reso più complesso compattare regole e strategie comuni.


Eppure oggi, di fronte a uno scenario geo-politico e geo-economico radicalmente cambiato — tensioni belliche, barriere tariffarie, competizione tecnologica — proprio l’Europa avrebbe bisogno di un salto di qualità.


Perché ci serve una vera Unione dei capitali

Un mercato dei capitali europeo funzionante permetterebbe di:

  • canalizzare risorse verso le imprese che vogliono crescere;

  • competere con Stati Uniti e Cina nella scala e nella velocità degli investimenti;

  • ridurre la dipendenza dalle sole banche;

  • garantire più stabilità sistemica in un contesto di tensioni globali;

  • sostenere politiche solidaristiche interne, come fu il Piano Marshall o, più di recente, il PNRR.


Il PNRR, infatti, ha mostrato un modello possibile: capitali europei per accelerare trasformazioni strutturali, purché usati con criteri chiari e finalità precise, non come strumenti di assistenzialismo.

Serve una visione comune, un’infrastruttura finanziaria integrata, una vera politica di coesione per i Paesi più fragili. Senza tutto questo, il rischio è chiaro: restare spettatori nella competizione globale.


Conclusione

Se l’Europa vuole contare, deve dotarsi degli strumenti che contano. Finanza e imprese non sono due mondi separati, ma due facce della stessa strategia. Senza una maggiore integrazione, senza capitali più mobili e senza aziende più grandi, l’Europa continuerà a rimanere indietro.


Non è una scelta tecnica: è una scelta politica, industriale e culturale. E il tempo per compierla non è infinito.

Guarda l'intervista completa su FinanceTV o ascolta

il Podcast FinanceTV Talks - Le Voci dell'Economia

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