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Siamo immuni alla Paura? Come ci rapportiamo nei confronti della Crisi e della percezione del Rischio

Nell’attuale contesto globale, la gestione delle crisi rappresenta una sfida prioritaria non solo per le istituzioni, ma anche per cittadini e imprese.


La crisi come fenomeno culturale

Oggi la parola “crisi” viene impiegata in modo inflazionato dai media, diventando una sorta di etichetta per eventi complessi ma non necessariamente critici. Questo abuso linguistico favorisce la diffusione di un costante stato di allarme, che rischia di generare un senso di anestesia emotiva nella popolazione. Le persone, esposte in modo continuativo a stimoli di tipo emergenziale, tendono a distaccarsi dalle conseguenze reali delle crisi, salvo quando queste incidono direttamente sulla loro sfera personale.


Patrick Trancu ha osservato come tale fenomeno sia riconducibile a un mutamento culturale profondo: le immagini si sono sostituite alle parole e il ritmo frenetico delle informazioni riduce la capacità di elaborazione critica. Così, le guerre in corso o le tensioni geopolitiche — come quelle tra Israele e Iran, o il conflitto a Gaza — sembrano colpire l’opinione pubblica solo superficialmente, nonostante le loro implicazioni di lungo termine.


Crisi inattese e crisi annunciate: approcci diversi

Un aspetto cruciale emerso nel dibattito riguarda la distinzione tra crisi inattese, come la pandemia di Covid-19, e crisi annunciate, come il cambiamento climatico. Di fronte a eventi imprevisti, le persone reagiscono spesso in modo istintivo, cercando soluzioni immediate. Al contrario, per i rischi strutturali e prevedibili — ad esempio i problemi previdenziali o la crisi demografica — si tende a rimandare qualsiasi intervento fino a quando non si trasformano in vere emergenze.


Questa mancanza di visione strategica, definita “breve-termismo”, rende evidente la difficoltà a gestire ciò che Michelle Wucker ha chiamato rinoceronte grigio: minacce note, potenzialmente devastanti, ma che non vogliamo vedere. Prepararsi a questi rischi significherebbe sviluppare una cultura della prevenzione, che però fatica ad affermarsi.


Il ruolo della comunicazione

Il tema della comunicazione, secondo Trancu, è centrale. I media e i social network hanno democratizzato l’accesso all’informazione, ma nello stesso tempo alimentano bolle emotive, polarizzazione e, talvolta, vere e proprie strategie di propaganda. Come insegna il caso Cambridge Analytica, la capacità di influenzare percezioni e decisioni collettive è oggi più forte che mai, e richiede attenzione critica e alfabetizzazione mediatica.


Prepararsi alla complessità

La gestione efficace delle crisi parte dalla consapevolezza. Serve allenare la mente al pensiero strategico, ponendosi la domanda what if? (“Cosa accadrebbe se...?”) di fronte ai rischi conosciuti, ma anche stimolare la flessibilità cognitiva per far fronte a rischi emergenti e ignoti (unknown unknowns).


Come suggerisce Patrick Trancu, sia i cittadini che le aziende dovrebbero costruire piani di prevenzione e strumenti di risposta rapida, anche a partire da semplici analisi di rischio personali. Un esempio è l’invito dell’Unione Europea a predisporre uno zaino di sopravvivenza per 72 ore, simbolo di una cultura della preparazione che dovrebbe diventare parte integrante del nostro modo di vivere.


Conclusioni

La complessità del nostro tempo richiede un nuovo approccio culturale alla crisi. Non possiamo limitarci a reagire, dobbiamo imparare a prepararci. Solo in questo modo sarà possibile affrontare con lucidità le sfide future, siano esse economiche, climatiche, sanitarie o geopolitiche.


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