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Economia e Dintorni

Sell on the gold? La FED potrebbe acquistare

Il Financial Times di mercoledì 13 ottobre ha pubblicato un articolo di Edwin Truman, dal titolo «America should open its vaults and sell gold» che suggeriva alle autorità monetarie statunitensi di vendere le 8 mila tonnellate d’oro giacenti nei loro forzieri, sulla base di due numerini indegni di tanto giornale e autore per la loro sciattezza.

LA FED E L’ORO: In sostanza Truman, rivolgendosi alla Federal Reserve, la esortava a vendere tutto l’oro in riserva, in carico al valore di 42 dollari l’oncia (contro un valore attuale di circa 1.350 dollari), ipotizzando un ricavo di 340 miliardi di dollari e una conseguente riduzione del debito di un miserrimo 2,25% del Pil. Già dal giorno successivo alla pubblicazione, da svariati addetti ai lavori tale suggerimento è stato aspramente criticato, ma con argomenti banali del tipo: meglio mettere i conti in ordine prima di vendere i gioielli di casa; oppure, se vendessero tutto quell’oro il prezzo crollerebbe, e via così. Al di là delle obiezioni, l’articolo ha un merito: ha esposto in maniera eclatante quanto limitata sia ormai la copertura in oro della massa monetaria di dollari in circolazione.

QUANTITATIVE EASING: A tal proposito, va ricordato che da anni innumerevoli senatori americani chiedono un audit delle reali consistenze d’oro nei forzieri, finora senza successo. E tuttavia, da qui a suggerire quanto pubblicato dal FT, ce ne corre. Anzi, a nostro avviso sarebbe necessario battere la via opposta. Il quantitative easing, ovvero l’immissione di liquidità che tanto entusiasmo ha scatenato e tuttora scatena nei mercati, dovrebbe manifestarsi non attraverso il riacquisto (o l’acquisto) da parte della Fed di titoli di Stato americani (per questi titoli in giro c’è già una massa di incauti compratori che non arretrano anche di fronte a rendimenti ormai scabrosi), ma attraverso l’acquisto di oro. Tali acquisti consentirebbero di centrare svariati effetti positivi.

LIQUIDITA’: A cominciare dall’immissione di vera liquidità sul mercato e non il cambio di tasca dello stesso biglietto (la Fed che compra titoli del Tesoro Usa); immissione di liquidità nelle mani di venditori di un asset che ovviamente verrà sostituito da altri, verosimilmente più produttivi (equity, corporate bond); rafforzamento delle riserve auree a garanzia del dollaro (ora pericolosamente basse), senza effetti insostenibili sul valore di carico medio. Se infatti la Fed avesse acquistato le 400 tonnellate che invece ha venduto al Fondo monetario internazionale a prezzi correnti, avrebbe sborsato 17-18 miliardi di dollari elevando il valore medio di carico delle riserve ad appena 100 dollari l’oncia, ma al tempo stesso avrebbe rivalutato significativamente il loro valore di mercato e quindi avrebbe accresciuto il grado di copertura del dollaro.