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Una reale trattativa comportamentale

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La lezione della finanza comportamentale applicata concretamente al processo di investimento e al modo di approcciarsi al cliente finale.

L’analisi dei comportamenti, delle percezioni e di tutta la sfera emotiva che coinvolge il cliente finale può essere lo step più importante per ottimizzare al meglio la gestione delle varie fasi dell’investimento.

Vendere usando le potenzialità della finanza comportamentale significa sviluppare un approccio al cliente molto differente rispetto all’impostazione tradizionale.

Non solo propensione al rischio e obiettivo d’investimento, il cliente “comportamentale” va studiato in base a come effettua le sue scelte, ovvero le leve che usa per decidere in concreto.

Anche se i corsi di finanza comportamentale sono molto di moda, non è certo agevole passare dalla teoria comportamentale alla pratica, anche perché la maggior parte degli esempi utilizzati a supporto dei seminari hanno poco a che fare con il mondo della finanza e della consulenza.

Tutti ci siamo sfidati a chi si avvicinasse di più al peso esatto di un Boeing 737 o sull’altezza della Tour Eiffel, molti hanno usato l’app della calcolatrice per determinare quanto costa un pallone e un paio di scarpe, mentre altri hanno scommesso, perdendo, che la tizia dell’esempio facesse la bibliotecaria e non l’impiegata.
In effetti gli esperimenti comportamentali classici hanno a che fare con il comportamento e non con la finanza, ed è proprio questo che rende difficile passare dalla teoria comportamentale alla pratica.

L’output finale nella maggioranza dei corsi, libri o articoli sulla finanza comportamentale, consiste infatti nel prendere una matita rossa e blu e comunicare al cliente che il loro comportamento finanziario non va bene, che hanno investito male la loro ricchezza, che non hanno le competenze tecniche necessarie, che dovrebbero invece smettere di occuparsi del loro portafoglio, smobilizzare la maggior parte dei loro investimenti e fare quello che gli diciamo noi.

Non certo un approccio soft, dire a qualcuno che ha sbagliato non è facile, dirlo noi che lavoriamo nel settore finanziario nel 2019 è ormai quasi interpretato come un ossimoro.
Il risultato è che la nostra controparte si metterà naturalmente su un piano di difensiva ostilità, mentre la sua posizione titoli rimane sulla nostra scrivania.

Una situazione ormai cristallizzata, l’errore ormai fatto, l’investimento già partito o la liquidità ancora ferma sul conto, senza nessuna intenzione di muoversi, davanti una persona, un cliente, che merita sempre la migliore consulenza possibile.

L’approccio di finanza comportamentale

Ed è appunto questa una delle prime cose che si può sperimentare sul campo: quanto sia vero uno dei primi assunti di Kahneman e Tvresky, e cioè che le scelte individuali non avvengono seguendo il principio economico dell’utilità e che gli individui sono irrazionali in modo sistematico e replicabile, cioè seguono degli schemi automatici, le euristiche, dipendenti per lo più da come il problema di decisione viene presentato loro.
Resta un fatto, il cliente ha fatto una scelta, ha comprato.

Se mi fermo a valutare cosa ha comprato, compio una valutazione sulla bontà dello strumento finanziario in relazione alla sua situazione economica.

Se valuto come ha scelto quel determinato strumento finanziario, ho un’informazione comportamentale che caratterizza quel cliente e che ne delinea compiutamente le modalità operative.

Se valuto l’errore finanziario posso solo correggerlo.

Se valuto invece il processo di scelta, trovo la logica di quella scelta e quindi lo stimolo che spinge il cliente ad agire.

L’idea è quella di utilizzare questa sua logica di scelta per definire il comportamento del cliente, considerandola la chiave della questione, consapevoli però, che senza il contributo di un buon consulente questa chiave è destinata inevitabilmente ad aprire la porta sbagliata.

Vediamo una prima applicazione pratica, prendiamo un caso comune a molti consulenti: i clienti di una certa età con azioni in portafoglio.

Che titoli hanno comprato? I soliti, ma la domanda giusta è: perché i soliti?

Qui la teoria comportamentale ci viene in soccorso e ci spiega perché si comprano sempre gli stessi titoli.
Se utilizzo questa informazione solo per spiegare al cliente che il titolo Generali o TIM non è la scelta più giusta per le sue esigenze, perderò tanto tempo e non è detto che riesca a convincere il cliente a venderli.
Resta però l’atra parte dell’informazione, il cliente sceglie in base alla familiarità e sarei poco accorto a non tenere in considerazione questo aspetto.

Anche questa sarà un’informazione rilevante quando, in futuro, entrò in contatto con lui, e non usarla significa perdere l’opportunità di entrare in maggiore sintonia.

Sulla euristica della familiarità si è detto e scritto molto, resta una delle scorciatoie più usate da tutti in moltissimi casi della vita.

Il fatto di comprare quello che si conosce è uno stimolo che ci spinge all’azione, ci fa sentire sicuri e non comporta valutare alternative, che implicherebbero costi psicologici non indifferenti, ovvero informarci, andare dal consulente o studiare.

Il caso pratico

Proviamo a questo punto ad usare noi questa euristica nel processo di consulenza e vediamo che effetto possiamo ottenere nei clienti.

Abbiamo visto che le persone di una certa età tendono a concentrare gli acquisti di azioni su pochi titoli molto noti, ma è la notorietà del titolo il fattore determinate o l’età dell’investitore?

Nell’attività di consulenza ho deciso di sperimentare e ho provato ad usare la familiarità per proporre al cliente soluzioni d’investimento in linea con il suo profilo di rischio e obiettivo d’investimento.

Il caso concreto più semplice da replicare è una trattativa con il target forse più difficile, quello caratterizzato da un maggior utilizzo e una maggiore familiarità con la comunicazione, i media e le tecnologie digitali: i Millennials.

Nello specifico un cliente di 32 anni che lavora come dipendente in una azienda privata.

Prima di continuare vi chiedo di valutare da 1 a 10, la vostra propensione a sottoscrivere un fondo Azionario, non esiste un valore corretto, serve solo tirare fuori il numero dettato dalla vostra “pancia”, niente di più e niente di meno di quello che vi sentite dire ogni giorno dai vostri clienti davanti ad una scelta d’investimento rischiosa.

Cosa conosco di questo target?
1. Compra on line di tutto, dalla tecnologia al tempo libero
2. Usa strumenti di pagamento
3. Usa i social
4. Usa lo smartphone
5. Usa i computer
6. Frequenta la grande distribuzione e i fast food

Questi tratti sono comuni ad un numero sempre crescente di persone, è una fotografia del mondo reale globalizzato, dove poche aziende rispondono a bisogni internazionalmente simili.

Al nostro giovane cliente dovremo ora spiegare il beneficio della diversificazione, l’orizzonte temporale, i mercati finanziari, le politiche delle nostre case d’investimento, l’importanza della previdenza, i pac, il risparmio mensile e via discorrendo

Oppure possiamo utilizzare gli errori della finanza comportamentale come una spinta gentile per arrivare direttamente al punto.

Ridefiniamo cosa conosco del target ma soprattutto cosa (ri)-conosce questo target.

Chiedo direttamente al cliente delle sue abitudini di acquisto nella sfera personale, lo porto a dirmi che usa l’Iphone, comprato su Amazon, per andare su Facebook mentre si beve una Coca da McDonalds.

1. Compra di tutto dalla tecnologia al tempo libero, AMAZON
2. Usa strumenti di pagamento, PayPal
3. Usa i social, Facebbok, Linkedin, Twitter
4. Usa lo smartphone, Apple
5. Usa i computer, Microsoft
6. Frequenta ancora i fast food, McDonald’s, Coca Cola

In qualsiasi portafoglio di un fondo Azionario America, nei primi 10 titoli, troverete la maggior parte di queste società, la cosa più efficace è proprio far vedere al nostro giovane cliente questo portafoglio.
Puntualmente i clienti di questo tipo, messi davanti al portafoglio concreto, cambiano atteggiamento, iniziano a ragionare in modo diverso, lo sentono molto più familiare e vicino alla loro esperienza e conoscenza di quello che avrebbe mai immaginato.

Nascono una serie di domande a risposta obbligata:
1. Sei cliente della maggior parte di queste società
2. Ogni volta che usi i loro servizi ne fai crescere fatturato e utili
3. La globalizzazione ha anche effetti nel mondo degli investimenti
4. Perché essere solo un consumatore e non beneficiarne anche come investitore

Questo è un modo diretto e semplice per spiegare al cliente cosa vuol dire investire e avere un obiettivo d’investimento, gli stiamo dando la consapevolezza dell’investiamo.

Stiamo solo presentando al cliente un prodotto finanziario nel modo più vicino al suo modo di agire e di scegliere, usando un linguaggio preciso e concreto che riesce a seguire.

La concretezza della proposta lo porta ad un ragionamento più corretto e meno soggetto ad errori di valutazione, la comprensione della portata dell’investimento è più immediata.

Riesce a rendersi conto prima e meglio del profilo di rischio e rendimento e alla definizione dell’orizzonte temporale opportuno.

Crede nell’investimento e ne è consapevole, ha capito ma soprattutto si rende conto di aver trovato un consulente «diverso» che gli sta facendo capire in cosa sta investendo e perché.
La consapevolezza sarà un grande alleato, specialmente nel periodo di storno dei mercati, un cliente convinto difficilmente abbandonerà il suo investimento e sarà meno incline a prendere decisioni basate sulla paura di uno storno del mercato.

Gli lasciamo l’idea del bravo consulente e in futuro si sentirà più fiducioso nella relazione.

E allora?

Se la vostra propensione all’acquisto di un fondo azionario America è aumentata, vuol dire che funziona.

19/06/2020 | Categorie: Senza categoria Firma: Salvatore Pandolfini