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Report settimanale sui mercati

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La corsa non si arresta e l’atleta comincia ad avere il fiatone! Nell’ottava appena conclusa le borse mondiali fatta eccezione di Tokyo (indebolita dal superapprezzamento dello yen) hanno tentennato in salita su nuovi massimi, ma sono riuscite comunque a guadagnare terreno. Rispetto alla settimana precedente tutte le piazze europee hanno chiuso in territorio positivo; la migliore è stata Londra con il FTSE100 che è rimbalzata del 3,22%, seguita dall’ indice francese, il CAC40 che ha registrato un rialzo del 2,49% cosi come l’ indice tedesco, il DAX30 in rialzo del 1,42%. A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore bancario (+3,48%) in gran spolvero per l’annuncio del governo irlandese, che intende acquistare dalle banche 54 miliardi di euro di obbligazioni legate al mercato immobiliare, seguito dal settore delle costruzioni (+3,38%) grazie alle ottime rilevazioni giunte Oltreoceano dal settore dei permessi edilizio di cui hanno beneficiato anche i titoli del Vecchio Continente ed infine dal settore chimico (+3,20%), mentre in lettera dobbiamo segnalare solo il settore turistico (-0,74%) e il settore dei beni di consumo (-0,65%). Fra i principali titoli protagonisti assoluti Bnp Paribas (+7,71%), Vivendi (+7,51%) e Credit Agricole (+7,44%) mentre in lettera segnaliamo Volkswagen (-11,43%), Sap (-3,16%) e L’oreal (-2,48%).
Piazza Affari chiude la settimana con il nono rialzo sulle ultime dieci sedute dello Ftse/Mib (+1,93%), e cosi il nostro caro indice da inizio anno ha guadagnato un bel 20% . Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Tenaris (+11,23% continuando a beneficiare dalla politica americana di introdurre i dazi sui tubi cinesi), Mondadori (+6,33% portato sugli scudi dalla rotazione settoriale, ma anche in vista di maggiori introiti pubblicitari) e Geox (+5,92% che si sta riportando sui massimi dell’anno grazie al cambio di strategia da parte del top management che mi ha trovato pienamente d’accordo) mentre in lettera, invece, troviamo solamente Banco Popolare (-1,74% che sembra non voler battere la resistenza dei 7 euro) e Fondaria Sai(-1,06% dove aver raggiunto i massimi annuali il titolo sembra aver perso lo smalto delle scorse ottave).
L’S&P500 ha vissuto un’altra settimana rialzista sospinto da una rassegna macro improntata alla “re-flazione” e all’espansione su base sequenziale. Gli ottimi dati mensili espressi dalle vendite retail a stelle e strisce e i dati relativi alla produzione industriale hanno infiammato le speranze di ripresa a Wall Street, consentendo all’S&P500 di rompere gli indugi e di bucare finalmente l’area di resistenza posta a 1.039-1.044 punti. Ha contribuito a tutto ciò le parole che ha promesso Obama nell’anniversario del crack Lehman ossia quelle di una riforma finanziaria, insieme a Bernanke che ha annunciato a chiare lettere che la recessione è tecnicamente conclusa, ma ha aggiunto “molto probabilmente”). A trainare l’indice azionario più prestigioso al mondo sono stati come al solito i titoli del settore finanziario, volati con veemenza, grazie alla ricapitalizzazione di Genworth Financial e al tono bullish delle banche regionali e dei multi-line insurance, in un frangente di evidente contrazione ulteriore dei credit-spreads.
Settimana all’ insegna della lettera per il Nikkei225 (-0,74%) che è ritornato a testare il supporto a 10.290 punti (10370 punti) sia a causa dell’apprezzamento della divisa nipponica ma soprattutto per la sensazione che il nuovo governo, ossia quello democratico di Yukio Hatoyama non intende contrastare la forza della valuta per sostenere gli esportatori, ma, viceversa, alimentare la forza dei consumatori domestici.
La correlazione inversa esistente tra la moneta americana e il mercato delle commodity è alla base dell’evoluzione settimanale del mercato delle materie prime. A fronte dell’aggiornamento dell’area di massimo del 2009 a 1,4767 dell’euro-dollaro si registra un rialzo del 3,53% del mercato delle materie prime. Da inizio 2009 l’indice delle commodity ha messo a segno un rialzo di oltre il 13% confermandosi così una più che valida alternativa d’investimento. La ripresa mondiale sarà lenta e la sfida “chiave” per i governi resta quella di ripristinare la stabilità dei mercati finanziari mantenendo ancora in vigore le politiche di sostegno all’economia fino a quando la ripresa non sarà ben consolidata. I best-performers della settimana sono stati il gas naturale (+27,64%), il succo d’arancio (+15,68%), il caffè (+7,58%), il cotone (+6,53%) e l’ heating-oil (+5,61%). Le vendite hanno invece interessato i bovini vivi, il rame, i suini da macello e la soia. Per quanto riguarda il comparto dei metalli preziosi, si registra il nuovo record (1.024,70 $) per l’anno in corso del primo contratto future sull’oro al Comex, un movimento questo agevolato soprattutto dalla debolezza del biglietto verde. L’ultima quotazione è stata 1.009,40 $ per oncia, in rialzo di oltre quattro dollari. Da inizio anno l’oro si è apprezzato di oltre il 13%.

 

In quest’ ultima ottava il mercato dei cambi ha continuato a veleggiare in modo anti-dollarista, con la discesa del dollaro nella fase post-estiva che è stata preannunciata dal rally dell’oro sul commodity-market.
Il price action ha proseguito nel suo impulso anti-dollarista che sta dominando l’uscita del mercato dei cambi dalla fase erraticamente estiva. In altri tempi dati macro forti sotto il profilo ciclico negli USA avrebbero dato un boost non indifferente al dollaro, ma nell’attuale environment tutto ciò sembra anacronistico.
L’euro -dollaro (1,4712) in settimana ha violato il famigerato top-Madoff a 1,4719 spingendosi fino a 1,4767, per avere tecnicamente campo aperto fino all’area di 1,4866-1,4908. Il rialzo dell’euro -dollaro è stato spalleggiato dal tono bullish dell’euro-sterlina che si è mosso in modo ascensionale. La possibilità illustrata da Mervyn King che i tassi inglesi sui depositi presso la banca centrale britannica siano imposti a livelli negativi di -0,25%, secondo quanto già fatto dalla Riksbank svedese, avvalora la tesi che l’euro-sterlina possa spingersi in alto, avendo bucato in settimana la media-mobile a 200-giorni a 0,8892 nell’ambito di un secco movimento sull’upside. Con l’euro -sterlina ascensionale la forza rialzista dell’euro-dollaro sulla carta si è corroborata, acquistando più sostanza. Mancherebbe all’appello soltanto un boost dell’euro -yen per indurre i traders che il rally dell’euro -dollaro possa trasformarsi da pull-back rialzista a trend di ampio spettro a lungo respiro. Le resistenze sull’euro-yen, quelle vere, girano lontane a 139,22-140,00. Tuttavia non si può non constatare che suddetto cross, ora a 134,33, stia provando ad allontanarsi dalle medie -mobili a 50, 100 e 200 giorni. Il mercato valutario nel suo complesso sta vivendo una fase anti-dollarista. Se l’euro -yen e l’euro -sterlina dovessero proseguire nel loro movimento bullish allora i traders dovrebbero sulla carta essere costretti a seguire il movimento rialzista anche dell’euro -dollaro, anche dopo la tanta strada percorsa nelle ultime 2 ottave.

Il contratto -future sul decennale, dopo aver avviato le contrattazioni a 121,59, ha scambiato nell’intervallo di prezzo 120,08 – 121,62 archiviando gli scambi a quota 120,44 punti, in calo di oltre una figura. Trattasi della seconda settimana consecutiva nel segno del ripiegamento per il decennale europeo.
La curva dei rendimenti in Germania ha finito per spostarsi verso l’alto: il 2-anni (1,29%) è salito di 9 bps, il 5-anni (2,41%) di 15 bps, il 10-anni (3,38%) di 14 bps e il 30-anni (4,14%) di 10 bps. Lo spread BTP/BUND ha ripiegato verso il basso di dieci punti base, attestandosi a 70. Il rendimento del decennale tedesco, graficamente parlando, è in una range-area delimitata nella parte alta dalla media mobile a 100-giorni (3,40%) e nella parte bassa dalla media mobile a 50-giorni (3,34%). La settimana è scivolata via nel segno del restringimento dello spread sul CROSSOVER europeo a 5-anni (525 punti base, in calo di 33) e dell’ulteriore discesa dell’EURIBOR a 3-mesi, questa volta in area 0,71375%. Nell’ultimo periodo è stata proprio la tendenza ribassista di quest’ultimo parametro monetario a dirottare gli acquisti sul mercato obbligazionario più che la rassegna macroeconomica, che sviluppandosi ancora nel segno della recessione e della deflazione continua a rappresentare un più che valido alleato per il mercato dei bond.
Nell’ultimo periodo i titoli di stato hanno attirato una domanda fortissima: cosa che solitamente accade quando le prospettive economiche non sono incoraggianti. Insomma se le azioni attirano gli investitori, i titoli di stato non sono da meno. E, nonostante i rendimenti ai limiti dell’anoressia, gli investitori si stanno strappando i titoli di mano. Un paradosso? No, la forte domanda contemporanea su Borse e bond è in buona parte l’effetto dell’immensa quantità di denaro che la BCE (al pari della Fed) ha iniettato sul mercato. Su quale dei due mercati è montata la bolla? Questo è il vero dilemma. Prendendo atto della situazione corrente l’idea è che la bolla possa essersi montata sul mercato delle azioni. Prevedendo invece una ripresa economica a partire dal 2010, seppur lenta e graduale, e sposando contestualmente uno scenario più vicino all’inflazione che alla deflazione il mercato più “pericoloso” potrebbe essere invece quello obbligazionario.
Nella settimana, almeno per un’ottava, i titoli di stato americani hanno dovuto relativamente arrendersi ai dati macro USA che hanno mostrato uno spirito “re-flattivo”/espansivo su base sequenziale. I bonds negli ultimi tempi avevano continuato a fluttuare in modo controverso, mostrandosi comunque forti rispetto al momentum sequenziale offerto dai dati macro USA e resistendo per ora a quello che appare di fatto un turnaround “re-flazionistico”. È stata una settimana in cui i bonds hanno dovuto però in parte arretrare di fronte agli avanzanti parametri d’inflazione. Tuttavia la constatazione che per via dell’espansione di base-monetaria e per via dell’ampia liquidità offerta dalla Federal Reserve al sistema micro-macro i tassi monetari versino a ridosso dello zero rappresenta il motivo per cui vi siano spinte ascensionali sui bonds da qualche tempo a questa parte, dopo il primo semestre trascorso all’insegna della caduta per il fixed-income americano. Il valore del Libor a 3-mesi dollaro giace a 0,29%, quanto basta per esprimere un costo del denaro ormai prossimo allo zero, con i Treasury-bills che rendono valori irrisori. I tassi a 2-anni hanno provato a portarsi al di sopra della soglia dell’1,00%, con i tassi a 10-anni in risalita verso la soglia psicologica di 3,50%. I temi a 30-anni ora rendono il 4,22%. La banca centrale americana dovrebbe, stando ai pronostici degli economisti, lasciare invariato il costo del denaro nella fascia di 0,00%-0,25% ilprossimo 23 settembre. Molto dipenderà però dalle parole che il numero uno della Fed esprimerà in materia di politica monetaria non-convenzionale. Il mercato stima che se anche la FED decidesse di intraprendere una politica monetaria restrittiva, futuri possibili rialzi dei tassi potrebbero non avere luogo prima dell’inizio del Q2 2010. D’altro canto il ritiro di alcune misure espansive di natura non convenzionale potrebbe finire con l’avere qualche impatto sui tassi di mercato statunitensi. Il quadro resta all’insegna della vulnerabilità per i bonds.

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21/09/2009 | Categorie: Investimenti Firma: Vincenzo Polimeno