NEWS

Report settimanale sui mercati finanziari

L’ emorragia non ha più fine. Nella settimana appena trascorsa abbiamo assistito ad uno vero e proprio tonfo dei mercati finanziari  causato dai timori che la recessione sta peggiorando e che l’ unico toccasana per salvare le banche sia la nazionalizzazione. A livello europeo la piazza peggiore è stata Francoforte con il DAX30 che ha fatto segnare una performance negativa del 9,03%, seguita dall’ indice francese, il Cac40 (-8,25%) ed infine dall’ indice inglese FTSE100 (- 7,17%). In questa ottava dobbiamo segnalare solo titoli in lettera tra quali spiccano Anglo American (-20,26% per la pubblicazione di dati negativi e il taglio di 19.000 posti di lavoro), Deutsche Bank (-19,46% per i timori legati alla nazionalizzazione) e Renault (- 22,46%). A livello settoriale si evidenzia un solo comparto positivo che risulta essere quello alimentare, in rialzo dello 0,34% mentre tra i peggiori ribassi dobbiamo segnalare quello del comparto assicurativo (-16,49%) seguito dal bancario (-14,31%), dalle costruzioni (-13,31%) ed infine dal comparto automobilistico (-12,74% accompagnato ancora una volta dalla pubblicazione di dati negativi).
Piazza Affari chiude la settimana in profondo rosso con lo S&P/Mib (- 12,84%), fanalino di coda tra i principali indici mondiali. Fra i titoli maggiori si mettono in evidenza solamente Snam RG (+4,45% dopo la conferma dell’elevato dividendo nonostante le acquisizioni di Italgas e Stogea), Terna (+0,70%) e Parmalat (+0,64% in questa settimana ha transato anche con il Credem e grazie alla tenuta del comparto alimentare) . In rosso, invece: Unicredit (-32,19% timori legati alla possibile nazionalizzazione e alle svalutazioni in valuta locale che provengono dall’ Est europeo per la maxi esposizione dell’istituto ), Intesa San Paolo (- 24,26% vedi Unicredit), Pirelli RE (-23,63%) e Alleanza (-21,83% per il motivo legato alle Generali dove non si prevede più il lancio di un’ OPA ma un semplice concambio che in questo momento è pari ad 1 azione Generali ogni 3 azioni Alleanza detenute mentre un anno fa ne occorrevano solamente 2 Alleanza. Il board Generali ha fatto bene i suoi conti).
Ottava da brividi anche per il mercato americano con l’indice S&P500  che ha chiuso la peggiore settimana degli ultimi 15 anni con un ribasso del 6,90%, mentre il Nasdaq e il DJIA hanno fatto segnare rispettivamente un -6,07% e -6,17%. In quest’ultima settimana abbiamo assistito al tonfo dei bancari guidati da Citigroup (-44,13%) e BofA (-31,96) per il timore che il piano di Geithner per salvare le banche possa includere una loro nazionalizzazione. Negativo anche il comparto automobilistico con i tonfi di GM (-29,20%) e Ford (-10,23%).
Settimana all’ insegna della lettera anche per il Nikkei225 (-4,67%) sceso sotto la soglia dei 7500 punti per la prima volta negli ultimi quindici anni trainato sotto tale soglia dai titoli finanziari e assicurativi mentre hanno retto bene quelli dell’ hi-tech. Il mercato giapponese è crollato oltre che per la recessione mondiale, anche per i pessimi dati pubblicati lunedì scorso.

Settimana rialzista per il mercato obbligazionario. I titoli governativi a reddito fisso hanno beneficiato del maggiore grado di avversione al rischio da parte degli investitori. Il contratto -future sul decennale, dopo aver avviato le contrattazioni a quota 124,51 punti, ha scambiato nell’intervallo di prezzo 124,36 – 126,05 per poi attestarsi nel finale a 125,49 punti, in rialzo di quasi una figura rispetto al livello di riferimento della precedente ottava. Nel corso dell’ ultima settimana il BUND è arrivato a meno di 50 centesimi dal massimo di sempre di 126,53 punti registrato lo scorso 15 gennaio 2009. La curva dei rendimenti in Europa ha registrato un movimento di shifting verso il basso. Il titolo a 2-anni si è attestato in area 1,31%, pressoché invariato, il 5-anni è sceso in area 2,16% (-7 centesimi), il decennale ha archiviato la settimana al 3,01% (-9 centesimi) mentre il segmento a 20-30 anni si è attestato in area 3,72% – 3,93%, in rialzo di 1-2 centesimi. Sul segmento di curva a breve-termine il buyflow è giustificato da un trade-off di tipo risk-reward abbastanza vantaggioso in un frangente in cui la BCE continuerà a ridurre il costo del denaro e la crisi bancaria farà il suo corso, smaltendo gli eccessi degli anni precedenti. Limitandosi solo ad analizzare il quadro macroeconomico, condito da recessione e pressioni deflattive, i titoli di stato europei dovrebbero rappresentare una profittevole asset class per gli investitori. Concettualmente risulta difatti piuttosto agevole comprare la parte a breve della curva, sopportando un minimo di rischio piuttosto calcolato e limitato in questa fase. Un rendimento del titolo a 2-anni all’ 1% potrebbe prossimamente non essere difficile a vederlo anche perché tale soglia potrebbe essere un’area di arrivo del costo del denaro nella Zona Euro nel prossimo futuro per aiutare il sistema finanziario ad uscire dalla crisi. Considerando la regola di Taylor (crescita + inflazione), stando agli ultimi dati a disposizione sia del PIL (-1,2% y/y è stata la prima stima per il quarto trimestre del 2008) che del CPI (+1,1% y/y è la stima per il mese di gennaio), in Europa i tassi a breve potrebbero, stando così le cose, anche arrivare addirittura in prossimità dello zero. Sui titoli di stato a lungo-termine bisognerebbe perseguire una maggiore cautela, in quanto le loro fluttuazioni potrebbero non seguire la politica espansiva della BCE ma subire l’impatto dei flussi dei maggiori detentori di carta governativa. I differenziali di rendimento tra i titoli di stato tedeschi e quelli italiani nel corso della settimana si sono leggermente ristretti. Resta il fatto che sul mercato persistono delle non sottovalutabili tensioni sul fronte dei government-bonds. Bisognerà dunque cercare di trovare un compromesso per bilanciare i rischi insiti nel mercato dei titoli a reddito fisso che se sotto il profilo dei fondamentali andrebbe comprato, sotto il profilo del credit-risk andrebbe invece venduto.

Sul mercato valutario, nell’ottava appena conclusa si è provato a dipanarsi nel segno del dollaro, con la divisa americana che ha cercato ancora una volta di rubare il tempo sia all’euro che allo yen, perdendo nettamente colpi nel finale a seguito delle dichiarazioni di Christine Lagarde, ministro delle finanze francese che ha parlato di azione coordinata dell’euro per risolvere la crisi. Peraltro non fosse stato per l’ennesimo newsflow legato ad insolvenze, il dollaro avrebbe ottenuto forse miglior sorte. In settimana infatti, dopo il caso-Madoff, è venuto fuori anche il caso-Stanford. Allen Stanford, texano, fondatore dello Stanford Group Co, un istituto finanziario domiciliato ad
Antigua, avrebbe defraudato gli investitori di 8 Bln $, con la SEC che ora sta indagando. In assenza di questa novità il dollaro avrebbe forse tenuto meglio. Intra-week l’euro-dollaro ha disegnato un minimo a 1,2514, livello da cui poi è rimbalzato, chiudendo a1,2820. L’euro-dollaro graficamente è impostato per ora in modo ribassista, con le prime resistenze a 1,2800-1,2820, ed il primo target sul downside a 1,2331. Al di sopra di 1,2820 vi sarebbe l’area compresa tra 1,3050-1,3100. Guardando l’euro-dollaro in chiave di lungo-termine, la rottura della media-mobile a 200-settimane a 1,3372 pone il cambio in trend discendente. Inoltre il superamento verso il basso di 1,3056, punto di Fibonacci che corrisponderebbe al 61,8% del range dai minimi ai massimi di sempre, ricavabile dall’analisi del grafico di lungo-termine, lascerebbe per ora presagire che l’euro-dollaro sia impostato per un’importante discesa,
salvo ovviamente sorprese che in questo periodo non mancano sul mercato valutario. In settimana qualcosa sembra essere cambiato anche e soprattutto sulle due divise anti-cicliche che finora, nell’ampio downturn dei mercati finanziari hanno dato grosse soddisfazioni in termini di performance: lo yen ed il franco svizzero. Concettualmente su di esse qualcosa sembra incrinarsi. In materia di divisa nipponica, alla luce del -4,6% y/y del GDP nipponico ci si inizia a chiedere se il modo di interpretare la fluttuazione dello yen sul fronte del mercato valutario cambierà radicalmente a qualche punto, sposando non più logiche legate alla
chiusura del carry-trading e del deleverage finanziario che ne hanno caratterizzato il rafforzamento, ma logiche di natura macroeconomica e legate agli equilibri bilancistici statali. Fa riflettere peraltro oltre al brutto PIL nipponico, soprattutto l’involuzione di quella che nell’era del dopo-guerra, era considerata la punta di diamante della rassegna macro giapponese, il pilastro economico su cui fondare la prosperità macroeconomica del paese del Sol Levante: il surplus delle partite correnti. Da qualche tempo esso si è contratto drasticamente con il trade-surplus peraltro azzeratosi e caduto in disgrazia. Risulterebbe ad un certo punto lecito chiedersi se la divisa di un paese i cui flussi di import/exports si sono praticamente invertiti debba continuare a rafforzarsi. Se il ciclo dovesse ripartire non certo gli investitori internazionali si affretterebbero a rimontare la leva attraverso lo yen, divisa rappresentativa dal paese con il più alto ratio di debito pubblico/GDP (150%), ma utilizzerebbero forse divise dimensionalmente più rappresentative ed internazionalmente più riconosciute, come ad esempio il dollaro, i cui tassi sono anche a zero. Si diventa neutrali sullo yen contro euro. La violazione grafica rialzista della linea di 120,00 potrebbe risultare un alert importante di stop-loss per il mercato e di turnaround.

La mancanza di fiducia sugli altri mercati, soprattutto su quelli finanziari, è tornata a condizionare in negativo l’andamento dei prezzi delle materie prime. A testimoniare il pessimismo di fondo che sta serpeggiando su tutti i mercati delle materie prime è anche l’indice Crb, che questa settimana è caduto ai minimi degli ultimi sei anni e mezzo. Il pessimismo continua a pesare sul mondo delle commodities. I maggiori rialzi della settimana hanno interessato l’oro (4,50%) e l’argento (4,99%) beni rifugio per antonomasia mentre in lettera troviamo il piombo (12,16%), la benzina (-10,92%) e il gas naturale (9,66%).

                             

                         MARKET MOVER DELLA SETTIMANA
 
Per quanto riguarda la settimana macroeconomica europea sarà una sette giorni scarna di appuntamenti dove dobbiamo segnalare solamente la giornata di Martedì 24 per la pubblicazione in Germania dell’ indice IFO, Giovedì 26 la pubblicazione dell’indice di fiducia dell’economia relativa al mese di Febbraio ed infine Venerdi 27 sarà la volta dell’indice dei prezzi al consumo di Gennaio a/a e il tasso di disoccupazione relativo al mese di Gennaio.
Spostandoci Oltreoceano sarà una settimana densa di dati macroeconomici, che condizioneranno i mercati se saranno significativamente diversi dalle previsioni. Si inizierà Lunedì con l’indice delle attività manifatturiere della Fed di Dallas. Martedì sarà la volta dell’indice Case Shiller sull’andamento dei prezzi delle abitazioni nelle principali metropoli degli Stati Uniti nel mese di dicembre e della fiducia dei consumatori di febbraio misurata dal Conference Board. Mercoledì sarà invece la volta delle vendite di case esistenti in gennaio e Giovedì delle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione, degli ordini di beni durevoli in Gennaio e delle vendite di nuove case sempre relative allo stesso mese. Infine, Venerdi 27 ci sarà la prima revisione del dato sul Pil del quarto trimestre che secondo gli economisti potrebbe essere rivisto a riflettere una flessione del 5%. Per quanto riguarda il quadro macroeconomico nipponico sarà una settimana degna poco di nota dove dobbiamo segnalare solamente Venerdi 27 la pubblicazione industriale relativa al mese di Gennaio m/m.

Per suggerimenti e chiarimenti scrivete a [email protected]

23/02/2009 | Categorie: Investimenti Firma: Vincenzo Polimeno