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Report Settimanale

E l’atleta si riferma a metà percorso. Nell’ottava appena conclusa abbiamo assistito ad una frenata dei listini in Europa complice le difficoltà dello stato greco che ha subito un declassamento di rating da parte di Fitch portandolo a BBB+ con outlook negativo, che seguono l’implosione dell’ impero immobiliare di Dubai. Secondo il mio parere, i nuovi focolai di crisi sono di forza limitata, incapaci di scatenare un altro effetto domino sull’economia mondiale: l’esposizione delle banche internazionali al cantiere dell’ Emirato è circoscritta e il debito ellenico può essere risanato con un po di rigore della politica economica interna senza neppure ricorrere al prestito del FMI. Ed infatti, i lisitini dopo aver accusato il colpo nelle prime tre sedute hanno ripreso la via della crescita nelle ultime due. A livello europeo la piazza peggiore è stata Londra con il FTSE100 che è regredito  dell 1,14% seguito dall’ indice francese, il CAC40 che ha registrato un ribasso dello 1,12% cosi come l’ indice inglese, il FTSE100 in ribasso dell 1,05%. A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore dei media (+1,16%), seguito da quello dei chimici (+0,96%) ed infine quello del turismo (+0,59%) mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore bancario (-4,36% trainato al ribasso dall’esposizione del Dubai ed in ultimo dalle turbolenze in Grecia e nei Paesi dell’ Est) seguito da quello assicurativo (-3,27% che non riesce a trovare una via d’uscita ) ed infine da quello dei servizi finanziari (-2,81% trainato al ribasso per lo stesso motivo esplicato per il comparto bancario). Fra i principali titoli protagonisti assoluti ArcelorMittal (+6,26% per la pubblicazione di un report positivo da parte di Citi), Basf (+2,75% rialzo dovuto alle positive dichiarazione da parte del Ceo) ed Nokia (+2,70%) mentre in lettera segnaliamo Aegon (-6,71% spinta al ribasso per un downgrade da parte di Morgan Stanley), Banco Bilbao (-6,60%) e Banco Santander (-6,57%), le ultime due trainate al ribasso per il declassamento che ha interessato lo stato spagnolo.

Piazza Affari chiude la settimana con un ribasso consistente dello Ftse/Mib (-2,24%), terminando l’ottava a 22411 punti risultando ancora una volta la peggiore piazza a livello europeo dopo Atene (-9,11%). Attualmente ci troviamo in un fase laterale e la situazione del nostro indice resta volatile per il basso volume degli scambi e il solo raggiungimento dei 23000 punti e successivamente dei 23300 decreterebbe l’inversione del trend in atto. Di contro, il ritorno sotto i 21900 puntì riporterebbe l’indice a testare dapprima il supporto a 21600 e poi il pericoloso supporto dinamico dei 21000 punti. Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Italcementi (+1,73% grazie al rimbalzo sul supporto posto a 9 euro), Terna (+1,23% titolo spinto al rialzo dalla sua natura difensiva e dalle continue promozioni), e Stm (+1,22% titolo spinto al rialzo dalle voci di possibile rimbalzo dell’ intero settore) mentre in lettera, invece, troviamo Banco Popolare (-7,33% peggior titolo bancario dell’ anno appesantito dall’aumento di capitale della controllata Italease e solo la fine di quest’ultimo potrà mostrare un quadro più chiaro della situazione), Fondiaria Sai (-7,29% affossato dagli eventi negativi che stanno colpendo l’intero settore assicurativo) e Bulgari (-6,19% trainata al ribasso dalla crisi dell’intero settore e dalla sfiducia che gli stessi componenti della proprietà trasmettono agli investitori).

Wall Street ha vissuto una settimana laterale, con l’S&P500 che si è mosso nel range compreso tra 1.085 e 1.110 punti, chiudendo la settimana attorno a 1.106 punti. È cambiato poco, con l’equity – market che continua a consolidare in alto. La linea di trend iniziata da marzo 2009 continua a tenere, sebbene col passare dei giorni la media-mobile a 50-giorni si sta portando a ridosso del livello di prezzo, giacendo ora a 1.082 punti. Il quadro tecnico resta rialzista, ma a questo punto mancando la produzione di nuovi massimi la lateralità potrebbe accompagnare le sorti dell’S&P500 fino alla fine dell’anno in corso. L’S&P500 nella sua risalita è stato sostenuto da un environment di tassi bassi, da un dollaro in svalutazione e da un’ampia spesa pubblica. Si tratta di tre elementi la cui attenuazione dovrebbe essere controbilanciata da una risalita di fatturati e di utili per consentire all’S&P500 di evitare la ricaduta. Al momento il settore dei financials sta producendo notizie di assestamento. Le banche americane sono state finora ricapitalizzate ampiamente ma non a sufficienza e vi sono ulteriori write-offs di bilancio da smaltire, secondo quanto anche diramato da Strauss-Kahn, direttore dell’International Monetary Fund. Tuttavia questo processo di riordino delle banche finora si è svolto in modo ordinato e benefico. In settimana la Citigroup ha dichiarato di voler restituire i 20 Bln $ di TARP. Si tratta di un altro tassello di riordino del sistema bancario USA che si aggiunge ai precedenti.
Questa settimana è stata ancora all’ insegna del denaro per il Nikkei225 (+0,9%) che supera la resistenza posta a 10000 punti (10107,87) e si prepara per l’assalto ai 10500 punti. La settimana in corso è stata caratterizzata dalla ripresa delle esportazioni che ha determinato il rimbalzo dei titoli industriali ed elettronici.

Settimana cedente quella appena conclusasi per il mercato delle materie prime. Il CRB INDEX ha archiviato gli scambi a quota 270,86 punti, in flessione dell’ 1,10%. Il recupero del dollaro sul mercato valutario associato alle nuove tensioni creditizie derivanti questa volta non dalla crisi di Dubai ma dal deterioramento del debito sia della Grecia che della Spagna ha spinto gli investitori a prendere profitto. I protagonisti in assoluto della settimana sono stati nell’ordine il gas naturale (+12,58%), lo zucchero (+6,74%), il cotone (+5,84%), l’alluminio (+5,68%) e i suini da macello (+4,66%). Nelle ultime posizioni si sono attestati i metalli preziosi, il petrolio e i suoi derivati. Il contratto future sul petrolio al Nymex con scadenza gennaio ‘10 si è mosso nell’intervallo di prezzo 69,46 $ – 76,10 $ per poi attestarsi nel finale a quota 69,87 dollari al barile, in calo di oltre 5,5 dollari. Una quotazione così bassa del petrolio non si registrava dallo scorso 8 ottobre. Settimana nel segno del profit-taking per il mercato dell’oro. Il primo contratto-future quotato al Comex ha archiviato gli scambi a quota 1.119,40 $/oz, in calo di circa cinquanta dollari. La settimana si è rivelata da record per l’alluminio (2.209,90 $), il caffè (147,05 $/lb), il cacao (3.437 $ per tonnellata metrica) e il succo d’arancia (128,05 $/lb).

Al monito di Draghi che nei prossimi cinque anni il debito pubblico e privato in scadenza nel mondo avrà un volume enorme rappresentando un rischio ha fatto seguito l’attivismo delle agenzie di rating Fitch e Standard & Poor’s. La prima ha rivisto al ribasso il rating a lungo termine della Grecia (da “A -“ a “BBB+”), alla luce del deterioramento del debito, mantenendo comunque l’outlook “negativo”. Una mossa questa che potrebbe presto essere seguita da Standard & Poor’s, che ha appena messo il rating della Grecia in “creditwatch negativo” ventilando la possibilità di un imminente declassamento. Il Governo di Atene si è messo subito al lavoro per studiare contromisure. A gettare acqua sul fuoco è stato il presidente dell’ Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, tornato a ribadire che il Paese non corre alcun rischio di bancarotta. L’effetto sui mercati è stato immediato. Sono precipitati i titoli di stato emessi dai due paesi, mentre sono schizzati verso l’alto i credit default swaps (Cds), gli strumenti che assicurano contro il rischio di insolvenza degli emittenti di obbligazioni. Il rendimento del 2 -anni Grecia è aumentato di 105 punti base al 2,95%, il rendimento sul decennale è salito di 29 punti base attestandosi al 5,29%. In Spagna invece il 2-anni è salito di 4 punti base al 1,69%, il 10-anni di 5 punti base al 3,83%. I differenziali di rendimento a 10-anni GRE/GER e SPA/GER si sono così ampliati attestandosi rispettivamente a 208 punti base e a 62 punti base. Nell’ultima settimana il contratto-future sul decennale europeo si è mosso nell’intervallo di prezzo 122,55 – 123,72 per poi archiviare l’ottava a 122,69 punti, poco variato rispetto alla precedente ottava. Le quotazioni hanno così violato verso il basso la trendline orizzontale passante in area 122,85. La curva dei rendimenti in Germania ha finito per registrare un movimento di steepening: il 2-anni (1,26%) ha perso 8bps, il 5-anni (2,27%) 7bps, il 10-anni (3,21%) 3bps mentre il 30-anni (3,99%) ha recuperato 2bps. Lo spread di tasso decennale ITA/GER si è ampliato da 76 a 82 punti.

Per quanto riguarda il capitolo “exit strategy”, il numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, ha reiterato il concetto secondo cui le misure di stimolo varate dalla Bce per rilanciare l’economia di Eurolandia verranno ritirate al momento opportuno e gradualmente e quel momento si sta avvicinando. Nel Bollettino di dicembre la Bce dichiara che l’attuale livello dei tassi continua ad essere adeguato, l’evoluzione dei prezzi resterà contenuta nell’orizzonte temporale rilevante per la politica monetaria, le aspettative d’inflazione a medio-lungo termine rimangono saldamente ancorate in linea con l’obiettivo del consiglio direttivo di mantenere i tassi d’inflazione su livelli inferiori ma prossimi al 2% nel medio periodo.
Oltreoceano, invece, il mercato obbligazionario durante la settimana si è mosso con relativa compostezza rispetto ai violenti movimenti registratisi sui mercati di titoli governativi di alcuni stati europei periferici. I titoli di stato americani hanno arretrato però tutto sommato senza grossi scostamenti, con i tassi a 2-anni attestatisi a 0,81%, quelli a 10-anni a 3,54% e quelli a 30-anni a 4,50%. Si tratta di un momento molto difficile anche per gli USA in materia di deficit governativi. In tal senso se da un lato il quadro recessivo-deflattivo su base annua aiuta i bonds a tenere in alto, con la Federal Reserve che continua a sposare la politica monetaria di tassi a zero dall’altro la rischiosità della classe governativa deriva dall’appesantimento veloce dei debiti pubblici. La Federal Reserve si riunirà nel Federal Open Market Committee di fine anno, potendo molto probabilmente lasciare i tassi d’interesse ufficiali invariati a 0,00%-0,25%. La curva dei tassi d’interesse si avvia a chiudere l’anno in modo molto ripido, con lo spread di tasso 2-10 anni a livelli record.

Sul mercato dei cambi durante la settimana il quadro tecnico sul dollaro è mutato. L’euro-dollaro dal canto suo ha violato al ribasso sia la media mobile a 50-giorni e più che altro la trendline ascensionale che ha avuto inizio a marzo 2009. Il newsflow relativo ai sovereign-rating di Grecia e Spagna durante la settimana ha innescato un’ondata di dollarismo, alla stessa stregua di quanto prodotto dalla crisi finanziaria degli Emirati Arabi. Tuttavia nel finale d’ottava, grazie alla rassegna macro cinese e ad alcuni dati macro propositivi, i movimenti anti-ciclici sul mercato dei cambi sono in parte rientrati ed il dollaro ha riperso in parte colore. Il quadro tecnico sull’euro-dollaro conferma però di essere stato intaccato, sebbene da un punto di vista fondamentale l’ampio budget-deficit USA non lasci spazio per considerazioni pro-dollaro. Anche la Euro-Zone sta attraversando un periodo difficile infatti dal punto di vista dei deficit-fiscali. Sull’euro-dollaro i punti tecnici si posizionano a 1,4641 sul downside e 1,4850-1,4875 sulla parte alta.
In materia di sterlina non è accaduto molto. L’euro-sterlina si attesta a 0,9020, con il trend congestionatosi nell’ultimo mese di trading. I livelli tecnici non cambiano: si monitora 0,8882 sulla parte bassa e la zona di 0,9061 sulla parte alta, per poi guardare la zona passante a 0,9150-0,9155. In questo clima sia l’euro-sterlina che il dollaro-sterlina appaiono fluttuare in maniera laterale. In materia di divisa nipponica le tendenze appaiono molto congestionate. L’euro-yen rotta al ribasso la trendline rialzista prodottasi da marzo 2009 ha un quadro grafico che non è più rialzista, dando la sensazione nel complesso di volersi lateralizzare, senza grandi idee. Il dollaro-yen, invece, giace in una zona grafica molto depressa in termini di lungo periodo. La depressione del dollaro-yen rischia di mandare in tilt i già precari equilibri macro giapponesi. Il Giappone, attualmente in deflazione, potrebbe risollevarsi soltanto grazie ad una veloce svalutazione dello yen contro dollaro.

 

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14/12/2009 | Categorie: Investimenti Firma: Vincenzo Polimeno