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Patrimoni esteri:
ultima chiamata

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Il governo giallorosso ha dichiarato apertamente di voler inasprire la lotta all’evasione fiscale. Ne è la prova evidente la nuova norma inserita nella manovra che dovrebbe tassare anche i redditi corrisposti dai trust. Un tema approfondito dall’esperto fiscalista Fabrizio Vedana, vice direttore generale di Unione Fiduciaria

Introdotta la tassazione dei trust

Tassati anche i redditi corrisposti ai residenti italiani dai trust e dagli istituti aventi analogo contenuto stabiliti in Stati e territori che, con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust, si considerano a fiscalità privilegiata. Lo stabilisce l’articolo 14 dello schema del Decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio 2020.

Gli effetti della nuova norma sui beneficiari

Per comprendere meglio la portata della nuova norma occorre ricordare che la legge finanziaria 2007 (comma 74, art. 1, legge 27 dicembre 2006, n. 296), ha stabilito che i trust rientrino fra i soggetti passivi IRES. Inoltre, l’articolo 73, comma 2, ultimo periodo del TUIR dispone che nel caso di trust cosiddetti “trasparenti” (vale a dire trust con “beneficiari individuati”) i redditi prodotti dal trust sono imputati ai beneficiari stessi “in ogni caso”, cioè “indipendentemente” dall’effettiva percezione, secondo un criterio di competenza per trasparenza e, conseguentemente, tali redditi sono assoggettati ad imposizione nei confronti dei beneficiari.

Le precisazioni sui redditi attribuiti

I redditi attribuiti ai beneficiari sono classificati nella categoria dei redditi di capitale ai sensi della lettera g-sexies, comma 1, dell’articolo 44 del TUIR. Più precisamente, tale lettera dispone che costituiscono redditi di capitale “i redditi imputati al beneficiario di trust ai sensi dell’articolo 73, comma 2, anche se non residenti”. Stante il riferimento letterale ai “redditi imputati”, le attuali disposizioni fiscali in materia di imposte dirette possono essere riferite sicuramente anche ai “beneficiari individuati” di trust esteri “trasparenti” mentre è più difficile ricomprendere nell’ambito di applicazione delle stesse i trust “opachi” esteri (vale a dire trust i cui eventuali beneficiari possono ricevere il reddito, o parte del reddito, del trust solo a seguito di una scelta discrezionale operata dal trustee). La norma contenuta nel decreto fiscale di cui al comma 1 è quindi finalizzata a risolvere problematiche di carattere interpretativo ed operativo che hanno, sin ad oggi, impedito di portare a tassazione patrimoni localizzati in determinati Stati.

Il Governo vuol scovare patrimoni nascosti

Chiaro risulta essere l’obiettivo del Governo: recuperare a tassazione i patrimoni, finanziari e non, che gli italiani detengono oltre confine non direttamente a loro intestati ma segregati in un trust o strutture giuridiche analoghe (si pensi a fondazioni di diritto privato o istituti analoghi). La previsione normativa assume il sapore di un vero e proprio ultimo appello per tutti quelli che, pur avendo disponibilità all’estero, non le hanno sino ad oggi dichiarate al Fisco italiano e quindi, presumibilmente, non hanno pagato le relative imposte. Sulla base di quanto ha messo in luce la Voluntary Disclosure, trattasi normalmente di patrimoni consistenti e localizzati in Stati non appartenenti all’Unione Europea. Tali patrimoni, tuttavia, per effetto, da un lato dell’entrata in vigore a livello europeo della quinta Direttiva Antiriciclaggio che obbligherà tutti gli Stati a dotarsi di un registro dei trust e dall’altro, per effetto dell’entrata a regime della normativa sullo scambio di dati in ambito fiscale (cosiddetto Common Reporting Standard), saranno più facilmente rintracciati dall’Amministrazione Fiscale.

L’istituzione del Registro dei trust

Con l’istituzione del Registro dei trust, infatti, saranno resi disponibili, in primis alle Autorità di Vigilanza e all’Amministrazione Fiscale, le informazioni sui beneficiari dei trust sui quali, secondo gli ultimi orientamenti espressi dall’Agenzia delle  Entrate ricadono, se aventi residenza fiscale italiana, obblighi di monitoraggio fiscale di compilazione del quadro RW (fatta salva l’ipotesi di utilizzo di una fiduciaria italiana come sostituto d’imposta). Con lo scambio di dati che già dallo scorso anno avviene tra le amministrazioni di molti Stati e che dal prossimo anno toccherà anche altri Paesi, tra i quali la Svizzera, il Lussemburgo, Panama, Nuova Zelanda, Regno Unito (Paese nel quale i trust sono presenti sin dai tempi delle crociate cristiane) e ancora Guernsey, Singapore e Montecarlo, consentendo al Fisco italiano di poter ricevere e quindi facilmente verificare se eventuali soggetti fiscalmente residenti in Italia detengono, come beneficiari di trust, dei patrimoni all’estero.

Sanzioni ridotte per chi si mette in regola

Per chi sa di non essere in regola con la normativa sul monitoraggio fiscale e quindi di non aver esposto nel relativo quadro RW della dichiarazione dei redditi i patrimoni detenuti all’estero, la norma, grazie anche all’istituto del ravvedimento operoso, consente di regolarizzare la propria posizione pagando sanzioni in misura ridotta senza rinunciare, peraltro, alla possibilità di mantenere questi patrimoni all’estero attraverso il conferimento di incarico alla fiduciaria italiana di fare da sostituto d’imposta.

17/10/2019 | Categorie: Economia e Dintorni Firma: Fabrizio Vedana