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MiFID II, un’indagine per riflettere sulla ricerca finanziaria

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Indagine di AIPB e Assosim volta a scoprire gli impatti attesi dagli operatori

Le novità MiFID II in tema di “fornitura di ricerca finanziaria” offrono l’occasione per una riflessione più ampia sull’evoluzione del mercato dei capitali italiano e su quella dei servizi di gestione e consulenza finanziaria evoluta. Ne sono convinte l’AIPB (Associazione italiana di Private Banking) e l’Associazione degli Intermediari dei Mercati finanziari – Assosim, che hanno condotto una survey presso i rispettivi associati per esplorare le possibili ricadute della nuova normativa sulle società che producono ricerca sulle emittenti italiane e sugli operatori del Private Banking che le utilizzano per la selezione degli investimenti della propria clientela. L’impatto da valutare riguarda l’obbligo introdotto dalla normativa di rendere trasparente al risparmiatore i costi applicati a fronte della ricerca utilizzata per le scelte di investimento e giustificarne l’utilità e il valore apportato.

I risultati degli studi sono stati presentati a Milano, presso ARCA Fondi SGR, nel corso di un incontro sul tema “Ricerca finanziaria: i modelli di business adottati dall’industria a seguito della MiFID II”. Unanime il responso delle due indagini: la ricerca finanziaria è centrale nella selezione e nella gestione professionale degli investimenti e per lo sviluppo del mercato dei capitali in Italia, caratterizzato da società quotate di piccole medie dimensioni sulle quali è necessaria una copertura professionale per comprenderne potenzialità e prospettive. La vera domanda è se, anche grazie all’evoluzione normativa, si stiano aprendo spazi di mercato per la ricerca più ampi rispetto al passato e se il suo utilizzo sia sostenuto da una domanda “Private” a supporto degli investimenti in economia reale della clientela.

Le risposte dei produttori di ricerca evidenziano, per i primi sei mesi del 2018, un rafforzamento della copertura della ricerca prodotta in Italia e dall’estero sui titoli quotati sui mercati equity di Borsa, soprattutto per quanto riguarda gli emittenti di dimensioni minori. Al di là di eventuali effetti legati all’andamento stagionale della produzione, per tale classe di emittenti è notevolmente cresciuta, grazie soprattutto all’apporto dei produttori esteri, il numero complessivo di società coperte da ricerca e il numero di ricerche prodotte. Risulta tuttavia evidente la necessità di incentivare tale trend, rimuovendo gli ostacoli normativi che non rendono remunerativa la produzione di ricerca sugli strumenti finanziari meno liquidi e introducendo al tempo stesso incentivi, di varia natura, volti a sostenere i relativi costi di produzione.

Le opinioni degli operatori Private, sembrano indicare una traiettoria un po’ più accidentata, la maggiore visibilità dell’utilizzo di ricerca nei servizi di investimento, portata dalla trasparenza, pare avere come conseguenza una diminuzione della ricerca sui mercati meno liquidi, una riduzione dei provider utilizzati (specialmente locali) e un aumento dei costi da sostenere per l’acquisto (+25%). Bassa appare la propensione a trasferire i costi della ricerca sulla clientela (20% del campione), rinunciando però all’opportunità di utilizzare la maggiore trasparenza sull’utilizzo della ricerca a dimostrazione della solidità delle proposte di investimento e di una parte significativa del valore aggiunto dei servizi di gestione e consulenza. Per invertire questo trend, che pare penalizzare proprio quella parte di ricerca utile allo sviluppo del mercato dei capitali delle PMI e alla crescita di opportunità di investimento particolarmente adatte ai portafogli private, è necessario convincere in primo luogo i banker e poi la clientela della necessità dell’utilizzo della ricerca di qualità per le scelte di investimento assegnandole in modo trasparente il giusto prezzo per il valore apportato.

03/10/2018 | Categorie: Investimenti Firma: Jonathan Figoli