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Tariffe USA: cosa aspettarsi dopo la scadenza del 9 luglio?

Il conto alla rovescia per nuovi dazi imposti dall’amministrazione Trump è quasi scaduto, ma l’incertezza resta elevata.

Con la scadenza del 9 luglio alle porte, l’amministrazione Trump si prepara a confermare aumenti tariffari su oltre 100 paesi. Nonostante gli annunci di possibili accordi preliminari, gli analisti restano cauti: è improbabile che entro pochi giorni vengano chiusi accordi definitivi.


Negoziazioni in corso e scenari possibili

La Casa Bianca ha ribadito l’intenzione di comunicare formalmente alle controparti i livelli tariffari aggiornati. Tuttavia, molti osservatori ritengono che eventuali intese saranno soltanto parziali e settoriali, con il rischio di compromettere accordi commerciali più ampi già in fase di trattativa.


La strategia di Trump punta a ridurre un disavanzo commerciale stimato in 1.2 trilioni di dollari, attraverso nuove barriere tariffarie che potrebbero modificare gli equilibri del commercio globale. Dopo la pausa temporanea sulle tariffe del 2 aprile, la ripresa delle negoziazioni è stata segnata da un andamento altalenante di escalation e distensioni, con protagonisti come Cina, Unione Europea, Canada e Giappone.


Quali accordi preliminari?

Tra gli accordi già annunciati figura un’intesa con il Regno Unito che manterrà tariffe al 10%, mentre il Vietnam avrebbe accettato una tariffa del 20%, il doppio rispetto ai livelli di partenza ma più bassa rispetto alla soglia minacciata ad aprile. Allo stesso tempo, l’amministrazione USA ha previsto un dazio del 10% sui beni spediti dal Vietnam, nel timore che Pechino utilizzi il paese come canale per aggirare le restrizioni.


Paesi sotto osservazione

Tra i partner commerciali più esposti a nuove misure ci sono India, Canada, Corea del Sud e Unione Europea. L’India, in particolare, si è mossa in anticipo per avviare trattative, forte di un’economia domestica molto orientata all’export. Secondo alcuni esperti, Nuova Delhi potrebbe ottenere una riduzione reciproca delle tariffe in cambio di una più ampia apertura dei mercati.

Il Giappone, invece, rischia dazi fino al 38% sui prodotti agricoli, con Trump che ha definito il paese “viziato” e restio ad accogliere maggiori importazioni dagli Stati Uniti.


La minaccia dei dazi settoriali

La vera incognita per imprese e investitori resta legata ai cosiddetti dazi settoriali, imposti per motivi di sicurezza nazionale su settori strategici come acciaio, alluminio, automotive, legno e prodotti farmaceutici. Queste tariffe complicano le trattative con partner chiave: per esempio, le auto giapponesi, l’alluminio canadese, il legname sudcoreano o i semiconduttori di Taiwan potrebbero subire rincari significativi.

Secondo Mark Linscott, ex negoziatore commerciale, “sarebbe imprudente chiudere un accordo troppo in fretta senza certezze sulle misure future”.


Il nodo Cina

La Cina, dopo una fragile tregua, rischia i dazi più elevati, fino al 55%, a causa di questioni strutturali ancora irrisolte. Inoltre, l’amministrazione americana continua a valutare restrizioni sulle esportazioni high-tech verso aziende cinesi e controlli più stringenti sull’export strategico.


Una possibile apertura potrebbe arrivare se Trump accettasse l’invito del presidente cinese Xi Jinping a visitare Pechino a settembre. La recente decisione della Cina di riclassificare i precursori del fentanyl come illegali potrebbe favorire un allentamento di alcuni dazi, in un clima di negoziazione ancora estremamente fluido.


Impatti sugli investimenti

Nonostante la forte incertezza, l’indice S&P 500 ha toccato nuovi massimi, segno che gli investitori per ora scommettono su un parziale ammorbidimento delle tensioni. Tuttavia, molti analisti avvertono che la volatilità potrebbe ripresentarsi, frenando investimenti e consumi, con effetti su diversi settori industriali, incluse le energie rinnovabili e l’hi-tech.


Conclusioni

Il prossimo passo nella guerra dei dazi dell’amministrazione Trump sarà probabilmente una serie di accordi preliminari, accompagnati da tariffe medie attorno al 10%-20% sui principali partner commerciali. L’incertezza resta alta, soprattutto per le industrie più strategiche.

Le prossime settimane saranno decisive per capire se prevarrà una logica di accordo oppure nuove escalation tariffarie con impatti globali.

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