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Speciale PFEXPO. Tra salari bassi, inflazione e prospettive critiche: quale futuro per l'Italia?

L’Italia si trova in una situazione economica estremamente complessa, caratterizzata da una crescita del PIL stagnante, salari bassi, scarsa produttività e un tessuto industriale frammentato in piccole e medie imprese.

Tuttavia, fermarsi a un’analisi puramente economica rischia di non cogliere le dinamiche più profonde legate alla politica e alla geopolitica. Questo articolo propone una visione integrata, capace di collegare la dimensione economica nazionale con i fenomeni globali, a partire dal ruolo del debito pubblico e dalle tensioni geopolitiche internazionali.


Introduzione

La crescita del PIL in Italia si conferma debole, con valori che spesso non superano l’1%, aggravati da problemi strutturali come la bassa produttività e un sistema salariale stagnante. Il sistema produttivo italiano, basato principalmente su piccole e medie imprese, fatica a restare competitivo in un contesto globale. Tuttavia, occorre spostare lo sguardo oltre i meri indicatori economici, per cogliere le radici politiche e geopolitiche di questa situazione.


Il macigno del debito pubblico e la transizione al “debitismo”

Un elemento cruciale è rappresentato dal debito pubblico italiano, che condiziona profondamente qualsiasi tentativo di rilancio economico. Oggi l’intero sistema economico mondiale, infatti, sembra essere transitato dal capitalismo al cosiddetto debitismo: secondo alcune stime, il debito complessivo globale ha raggiunto 354.000 miliardi di dollari, un valore superiore al PIL complessivo mondiale.


Questo scenario pone interrogativi di natura non solo economica ma anche politica: il debito, infatti, può diventare un vero e proprio strumento di controllo, in grado di vincolare individui, imprese e intere nazioni. Da decenni si parla di riduzione del debito pubblico, ma nella realtà il debito continua ad aumentare, alimentando una dinamica paradossale in cui il debito stesso viene talvolta percepito come una forma di ricchezza.


Debito, potere e geopolitica

Il paradigma del debito come strumento di potere ha origine principalmente dagli Stati Uniti, che hanno potuto espandere il proprio debito grazie alla fiducia internazionale verso il dollaro e a un sistema di alleanze globali. Tuttavia, segnali di cambiamento emergono anche da Paesi come la Cina, che stanno progressivamente riducendo la loro esposizione verso il debito americano.

Il ruolo degli Stati Uniti, soprattutto sotto l’amministrazione Trump, ha mostrato chiaramente come la politica possa incidere pesantemente sull’economia globale. In questo senso, alcuni osservatori hanno paragonato Trump a Gorbačëv, nel tentativo di gestire una potenza in declino strutturale e colpita da pesanti squilibri interni ed esterni.


La strategia americana degli ultimi decenni — dal contenimento della Russia fino alle guerre commerciali con la Cina — ha contribuito a mantenere una supremazia geopolitica, ma al prezzo di un crescente debito pubblico, esacerbato dalle politiche militari e da eventi straordinari come la crisi di Chernobyl per l’URSS o, più recentemente, la pandemia per gli USA.


Il ruolo dell’Europa e le prospettive italiane

Per l’Italia e per l’Europa, questa situazione presenta rischi e opportunità. Il rifiuto, da parte degli Stati Uniti, di un’integrazione della Russia nella NATO — nonostante una richiesta esplicita in passato — ha contribuito a mantenere l’Europa in una posizione di dipendenza, in termini energetici e di sicurezza. Una maggiore cooperazione euro-russa avrebbe potuto rafforzare il continente, dotandolo di fonti energetiche più sicure e tecnologie più competitive, riducendo la vulnerabilità strategica.


La visione di Trump, che ha messo in discussione alcuni pilastri della politica estera americana, ha avuto il merito di svelare la reale natura dei rapporti transatlantici, meno solidali e più transazionali di quanto molti europei volessero ammettere. In questo quadro, l’Italia rischia di restare intrappolata in logiche economiche di corto respiro (come l’analisi del solo costo del lavoro), trascurando le vere leve di potere a disposizione sul piano politico e geopolitico.


Conclusioni

La crisi italiana non può essere spiegata soltanto attraverso indicatori come la produttività o i salari. Il peso del debito pubblico, la frammentazione del tessuto produttivo e le complesse relazioni internazionali disegnano un quadro molto più articolato.

Solo una visione integrata, capace di considerare i rapporti di forza geopolitici e le scelte di politica internazionale, potrà consentire all’Italia di evitare il destino già visto nel secolo scorso, quando l’Europa, incapace di leggere le dinamiche globali, fu travolta da due guerre mondiali.

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