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Quando la finanza diventa geopolitica: l’influenza dei grandi fondi USA tra debito americano e moral suasion globale

Il ruolo nascosto della finanza nelle scelte politiche e nelle tensioni tra Stati Uniti, Europa e Cina.



La finanza come architettura invisibile del potere globale

Nel dibattito geopolitico contemporaneo la finanza non è un semplice ingranaggio dell’economia: è il canale attraverso cui risparmio, investimenti e scelte politiche si intrecciano. La funzione originaria è chiara: famiglie che risparmiano e imprese o Stati che necessitano capitali per investimenti di lungo periodo. Ma la geoeconomia di oggi introduce nuovi livelli di complessità.


La concentrazione dei risparmi in fondi comuni – spesso guidati da grandi gestori internazionali – sposta il baricentro delle decisioni economiche. Quando una quota significativa del risparmio europeo o italiano viene gestita da operatori statunitensi, entrano in gioco non solo criteri di rendimento, ma anche dinamiche di moral suasion, preferenze geopolitiche ed eventuali esclusioni di interi Paesi dai portafogli.


Questa interdipendenza genera un paradosso: se un gestore estero non è performante, l’investitore può cambiare fondo. Ma nessun investitore europeo può prescindere dal peso dei grandi asset manager americani, semplicemente perché equivalenti europei di pari scala non esistono in misura sufficiente.


Il rischio geopolitico dei fondi d’investimento globali

Molti investitori temono che i fondi di grandi Paesi possano essere indirettamente influenzati dalle scelte politiche dei loro governi. È un rischio reale? In parte sì: un’amministrazione può creare incentivi o disincentivi all’esposizione verso determinate aree geografiche.


Tuttavia, il vero tema – sottolinea Riccardo Puglisi – riguarda la struttura industriale e imprenditoriale italiana. Se gli imprenditori non investono capitali propri in misura adeguata, il mercato resta nelle mani di chi ha più mezzi, cioè investitori internazionali. Non è solo “colpa della finanza estera”: è anche la conseguenza di un ecosistema domestico che fatica a generare investitori di lungo periodo.


Stati Uniti e il mito del “free risk”: vale ancora?

Per decenni i Treasury americani hanno incarnato il concetto di risk free asset, la base teorica di ogni valutazione finanziaria. Oggi la domanda è inevitabile: con un debito pubblico in forte aumento e un dollaro più volatile, gli USA meritano ancora questa posizione?


Secondo Puglisi sì: l’economia americana resta la più potente al mondo e il dollaro continua a essere la valuta centrale negli scambi internazionali. Il “privilegio esorbitante” citato dalla letteratura economica rimane intatto.

Il rischio, semmai, è valutario: anche acquistando titoli sicuri, l’investitore europeo può ritrovarsi penalizzato da una svalutazione del dollaro quando converte i rendimenti in euro.


Il nodo futuro: sostenibilità del debito e scenari possibili

Se in futuro gli Stati Uniti dovessero affrontare tensioni sulla sostenibilità del debito federale, la risposta possibile sarebbe una combinazione di austerità selettiva e aumento della tassazione. Una strategia politicamente difficile, ma tecnicamente percorribile.


Per ora, però, la centralità degli USA e la mancanza di alternative concrete al dollaro fanno sì che il sistema globale continui a basarsi sulla stessa architettura degli ultimi decenni.


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