
Libertà di espressione in Europa: un diritto in crisi?
La libertà di espressione, principio fondante delle democrazie liberali, sta affrontando una crescente erosione in Europa.
Questa accusa, lanciata dal vicepresidente americano J.D. Vance, secondo cui l’Europa non starebbe facendo abbastanza per proteggere questo diritto, può sembrare ipocrita se considerata la politica interna americana. Tuttavia, il problema europeo esiste, è concreto e merita attenzione.
Ungheria, Germania e Regno Unito sotto osservazione
Tra i paesi membri dell’UE, l’Ungheria rappresenta il caso più critico: il governo ha ridotto al silenzio gran parte dei media indipendenti. Anche la Germania è finita nel mirino: nonostante la comprensibile messa al bando del negazionismo dell’Olocausto, le leggi contro le offese ai politici risultano sempre più distorsive. Episodi come la condanna di un editore per aver condiviso un meme satirico mostrano come queste normative possano essere usate per zittire il dissenso.
Nel Regno Unito, la situazione è altrettanto preoccupante. La polizia dedica migliaia di ore al monitoraggio dei post sui social, arrivando ad arrestare in media 30 persone al giorno per reati legati all’espressione online. Anche semplici sfoghi su Facebook o critiche all’istruzione scolastica sono diventati casi giudiziari.
Leggi contro l’“hate speech”: un'arma a doppio taglio
Molti paesi europei hanno leggi contro l’“hate speech” o discorsi d’odio. Sebbene l’intento sia promuovere l’armonia sociale, le prove sulla loro efficacia sono scarse. Al contrario, la minaccia di sanzioni per chi esprime opinioni controverse sembra alimentare divisioni e risentimento.
Queste leggi, spesso vaghe, finiscono per incentivare la censura preventiva: piattaforme social rimuovono contenuti potenzialmente legali per evitare multe salate. Il risultato? I cittadini si sentono meno liberi di esprimersi, e i populisti ne approfittano per rafforzare la narrazione secondo cui “non si può più dire niente”.
Una spirale di tabù e autocensura
La selettività nell'applicazione delle leggi sui discorsi d’odio genera nuove disuguaglianze: se alcuni gruppi godono di protezione speciale, altri chiedono lo stesso trattamento, portando a una proliferazione di "zone off-limits" nel dibattito pubblico. Il rischio è di trasformare la libertà di parola in un privilegio, non in un diritto universale.
Verso una nuova cultura della tolleranza
La soluzione non passa per il silenzio forzato, ma per un ritorno ai principi liberali: tollerare opinioni anche sgradevoli, promuovere il rispetto attraverso l’educazione e i codici di condotta aziendali, non attraverso manette e multe.
Crimini reali come lo stalking o l’incitamento alla violenza devono restare perseguiti penalmente. Ma concetti fumosi come “offese gravi” o “contenuti discutibili” dovrebbero uscire dal codice penale. Anche le piattaforme digitali devono godere di margini di autonomia: ognuno può scegliere dove comunicare, ma senza che lo Stato trasformi ogni post in potenziale reato.
Libertà di parola: un valore da difendere, non da temere
La difesa della libertà di espressione non è un'esclusiva della destra populista. È una necessità per qualsiasi democrazia. Limitare oggi una voce scomoda può voler dire domani zittire chi denuncia un abuso. La credibilità dell’Europa si gioca anche su questo fronte: i regimi autoritari osservano, pronti a indicare la contraddizione di chi predica libertà ma pratica censura.
Conclusione
Difendere la libertà di parola significa accettare il disaccordo e l’offesa come prezzo della democrazia. In un’epoca segnata da polarizzazione e sfiducia, servono regole chiare, applicate con sobrietà, e soprattutto una rinnovata fiducia nella forza del dibattito libero.
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