
La fine del dollaro dominante? La strategia di Trump e i rischi sistemici per l’economia globale
Trump vuole indebolire strategicamente la propria valuta per favorire la competitività industriale nazionale. Quali sono stati i risultati e quali i rischi per l'economia globale?
Introduzione
Negli ultimi anni, la stabilità e la centralità del dollaro USA nel sistema economico globale sono state messe in discussione da una serie di dinamiche geopolitiche e decisioni politiche interne agli Stati Uniti.
Il dollaro è davvero vicino a perdere il suo ruolo dominante?
Trump e la politica economica del dollaro debole
Durante il suo mandato, Donald Trump ha promosso una politica economica che mirava a indebolire il dollaro per rilanciare la manifattura americana. Consigliato da Stephen Miran, il piano prevedeva tagli ai tassi d'interesse e l'introduzione di dazi sulle importazioni per stimolare la produzione interna e ridurre il deficit commerciale.
Miran sosteneva inoltre che lo status del dollaro come valuta di riserva mondiale portasse a una sua sistematica sopravvalutazione, ostacolando l’industria americana. La soluzione? Una concertazione monetaria internazionale simile agli Accordi del Plaza del 1985, con il fine dichiarato di coordinare una svalutazione del dollaro.
Una strategia disallineata dalla realtà globale
La visione strategica di Miran, sebbene strutturata, si è scontrata con la realtà di un mondo economico profondamente cambiato rispetto agli anni ’80. Le banche centrali, oggi molto più indipendenti, non sono più disposte a sottostare a pressioni geopolitiche. Inoltre, l’idea di scambiare titoli del Tesoro a medio termine con obbligazioni centenarie non ha convinto gli investitori internazionali, suscitando piuttosto diffidenza.
L’imposizione dei dazi ha avuto effetti controproducenti: invece di rafforzare il dollaro, ha generato timori di recessione, alimentato l’inflazione e ridotto la fiducia degli investitori, innescando una fuga di capitali.
Declino della fiducia nel dollaro e nelle istituzioni USA
Un altro elemento cruciale è stato il deterioramento della fiducia nelle istituzioni economiche statunitensi, in particolare nella Federal Reserve. Le minacce di Trump di rimuovere Jerome Powell dalla presidenza della Fed hanno sollevato seri dubbi sull'indipendenza dell’istituto, uno dei pilastri fondamentali della stabilità del dollaro.
Il mercato obbligazionario ha reagito con volatilità. Gli spread sui Treasuries a 10 anni sono aumentati bruscamente, mentre episodi di scarsa liquidità hanno suscitato nuove preoccupazioni sulla capacità degli Stati Uniti di finanziare un debito in crescita senza compromettere la credibilità della propria moneta.
La ricerca di alternative al dollaro
Sebbene il dollaro resti la valuta dominante nelle riserve di cambio mondiali (58% nel 2025, in calo rispetto al 65% di dieci anni fa), l’erosione della fiducia ha accelerato la ricerca di alternative. La Cina ha avviato la dedollarizzazione delle proprie riserve e promosso l’uso dello yuan nei pagamenti internazionali attraverso il sistema CIPS, una sorta di “SWIFT cinese”.
Tuttavia, il renminbi non è ancora una vera alternativa, a causa del controllo sui capitali e della non convertibilità piena. L’euro, invece, è tecnicamente pronto, ma soffre di un mercato obbligazionario frammentato, con 20 emittenti sovrani e una carenza di titoli considerati "senza rischio" comparabili ai Treasuries americani.
Conclusione: un’egemonia in declino ma non finita
L’egemonia del dollaro non è finita, ma il suo futuro è sempre più incerto. La stabilità, la prevedibilità e la fiducia—fondamentali per ogni valuta di riserva—sono stati minati da scelte politiche avventate e da una crescente instabilità interna. In mancanza di un’alternativa solida, il dollaro continuerà a svolgere un ruolo centrale, ma la sua posizione sarà più fragile. L’economia globale si sta lentamente preparando a un mondo multipolare anche sul piano valutario.
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