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La Cina e il controllo delle filiere globali: dagli snodi tecnologici alle risorse strategiche

Un focus sugli snodi che consentono ai Stati Uniti di mantenere la propria egemonia e quelli su cui la Cina ha costruito una minaccia concreta.



L’egemonia degli Stati Uniti: controllo dei nodi finanziari e commerciali

Gli Stati Uniti consolidano il proprio ruolo egemone grazie a una serie di leve: il dollaro come valuta di riserva, la posizione dominante nel sistema dei pagamenti internazionali (ad esempio SWIFT), l’accesso privilegiato ai mercati finanziari globali, la forza militare. Il tutto consente di «governare» flussi di capitale, sanzioni, investimenti e delocalizzazioni in modo selettivo.


Tuttavia, l’intervistato osserva che non tutti gli snodi fondamentali sono oggi sotto il controllo degli USA. In particolare, emergono tre criticità:

  • la produzione e il controllo delle materie prime critiche;

  • il know-how produttivo ad alto valore (process knowledge) detenuto da altri paesi;

  • la capacità di innovare e scalare filiere manifatturiere complesse in modo autonomo.


Le materie prime critiche e le terre rare

Tra gli snodi strategici più trascurati nel dibattito pubblico vi sono le cosiddette “terre rare” (rare earth elements, REE). Questi elementi sono indispensabili per microprocessori, batterie, veicoli elettrici, tecnologie militari. La Cina domina non solo la produzione, ma soprattutto la lavorazione e l’esportazione di queste materie critiche: circa il 90 % del mercato della raffinazione è appannaggio cinese.


Nel 2025, Pechino ha imposto restrizioni all’export di terre rare e magneti ad alta prestazione, generando allarme tra i fornitori europei dell’industria automobilistica. Questa leva consente alla Cina un potere geopolitico sostanziale: non più semplicemente fabbrica del mondo, ma protagonista della catena del valore tecnologico.


Il know-how produttivo e la manifattura cinese

La Cina non si è limitata ad assemblare beni inventati altrove: ha acquisito process knowledge attraverso la produzione di massa per imprese occidentali (come la produzione in Cina degli iPhone), costruendo competenze ingegneristiche, catene logistiche, e infrastrutture digitali.


Questo percorso ha consentito un salto verso l’innovazione vera: oggi la Cina è in rapida ascesa in settori avanzati: batterie, pannelli solari, veicoli elettrici. Il risultato è che la Cina oggi può dettare ritmo e termini della competizione tecnologica globale: un asset che gli Stati Uniti non controllano in modo esclusivo.


Implicazioni per imprese e investitori
Rischi nella supply chain globale

Le restrizioni sulle terre rare rappresentano un rischio concreto per la produzione di beni high-tech nelle imprese occidentali. Le aziende europee di componentistica automobilistica denunciano già blocchi produttivi. Per le imprese italiane e europee si pone la domanda: quanto siamo dipendenti da nodi che non controlliamo? E come possiamo diversificare?


Opportunità nella ristrutturazione della catena del valore

La pressione cinese può funzionare anche da catalizzatore: nuovi progetti in Australia, Kazakistan, altri Paesi per costruire supply chain alternative. Le aziende che anticipano questo cambio possono guadagnare vantaggio competitivo: filiere più resilienti, partnership con governi, maggiore sovranità tecnologica.


Innovazione e strategia industriale

Per non restare “fornitori” del sistema altrui, le imprese italiane devono puntare a un salto: dal “fare produzione” al “fare innovazione”. Ciò significa investire in process knowledge, digitalizzazione, filiere interne ad alto valore aggiunto. La leva geografica sta cambiando: l’Asia non è solo mercato finale ma intermediazione e co-protagonista.


Le implicazioni per la politica economica italiana ed europea
  • È strategico costruire un mercato dei capitali europeo forte: occorre finanziare la trasformazione industriale e puntare sull’autonomia tecnologica.

  • Serve una politica delle materie prime e dell’energia coerente: verso diversificazione, scorte strategiche e investimenti nelle filiere emergenti.

  • Il dialogo transatlantico e con l’Asia deve essere ripensato: non più solo “un mercato” ma un teatro di cooperazione/competizione in cui l’Europa può giocare un ruolo attivo.


Conclusione

Il potere economico globale non è più soltanto questione di dollari o di eserciti. È questione di catene del valore, di materie prime strategiche, di conoscenza produttiva, di network tecnologici. Gli Stati Uniti mantengono una posizione dominante, ma la Cina ha costruito leve materiali e intellettuali che rendono la partita più equilibrata. Per le imprese e i policy-maker europei la sfida è chiara: comprendere dove si giocano gli snodi, intervenire sui propri “buchi di rete” e non restare semplici utenti del sistema globale.


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