
Italia, risparmio e fragilità finanziaria: perché senza un vero mercato dei capitali europeo resteremo indietro
Ecco perché gli italiani perdono potere d’acquisto: cultura, demografia e assenza di un vero mercato dei capitali
Siamo in un mondo attraversato da tensioni geopolitiche, transizioni energetiche e trasformazioni tecnologiche accelerate. Un mondo dove i mercati corrono, le società cambiano, gli investitori americani diversificano e costruiscono ricchezza, mentre gli italiani, ancora oggi, tendono a lasciare i risparmi fermi sui conti correnti.
Nell’intervista rilasciata a Finance TV, Alessandro Lubello affronta una domanda centrale: perché il risparmiatore italiano fatica così tanto a investire e guardare al futuro? E soprattutto: come si costruisce benessere economico in un contesto globale così instabile?
Il fattore culturale: perché l’Italia ha paura del futuro
Secondo Lubello, una parte significativa del problema è culturale. L’Italia è un Paese che guarda al passato più che al futuro. Le classi dirigenti, spesso, difendono schemi consolidati e faticano ad accettare il cambiamento. Questo atteggiamento influenza direttamente:
il modo in cui le famiglie risparmiano
la propensione all’investimento
la capacità di cogliere opportunità nei mercati globali
L’economia ristagna da quasi 30 anni: produttività scarsa, demografia negativa, difficoltà nel modernizzare il sistema pensionistico. In questo clima, l’istinto prevalente è conservare, non investire.
Mentre gli americani investono il 30% in azioni, gli italiani restano liquidi
Gli Stati Uniti hanno costruito gran parte della loro crescita recente grazie a un mercato finanziario dinamico e alla tradizione dell’investimento azionario. I risparmiatori americani hanno beneficiato:
del recupero post-2008
del boom dei mercati negli ultimi dieci anni
del ruolo centrale del sistema finanziario globale
Gli italiani no. La loro diffidenza verso gli investimenti – spesso sostituita da una preferenza quasi totale per la liquidità – ha generato un’erosione costante del potere d’acquisto, aggravata dall’inflazione e dall’assenza di rendimento.
Il risultato è un divario crescente con gli Stati Uniti ma anche con i principali Paesi europei.
Nessun Paese europeo può farcela da solo: l’invito a “pensarsi europei”
Lubello insiste su un punto chiave: l’Italia non è più nelle condizioni di affrontare le grandi sfide globali da sola.
Le potenze che stanno ridefinendo il mondo – Stati Uniti, Cina, India – hanno una scala e una capacità di investimento irraggiungibili per qualunque Paese europeo isolatamente.
Da qui l’urgenza di una visione comune:
difesa europea
investimenti congiunti
politiche industriali comuni
strategie tecnologiche coordinate
un mercato dei capitali davvero unificato
Non è una scelta ideologica: è sopravvivenza economica.
Perché l’Europa è indietro: fallimenti, frammentazione e “muri nazionali”
Lubello ricorda alcuni casi emblematici:
il tentativo fallito in Svezia di creare un campione europeo delle batterie
il ritardo europeo nell’intelligenza artificiale
la dipendenza da materie prime strategiche come le terre rare
L’Europa si trova “tra due fuochi”:da un lato la pressione politica e commerciale degli USA, dall’altro la competizione tecnologica e industriale della Cina.
La frammentazione normativa e la tendenza dei Paesi a difendere il proprio orticello impediscono lo sviluppo di un ecosistema competitivo.
Perché serve un mercato dei capitali europeo (davvero unico)
L’Italia, come gran parte dell’Europa, ha sempre puntato sulle banche. Ma oggi questo modello non basta più.
Le nuove sfide – transizione energetica, sicurezza, innovazione tecnologica – richiedono capital markets profondi, liquidi e integrati.
Un mercato azionario europeo più sviluppato potrebbe:
sostenere la crescita delle imprese
finanziare investimenti strategici
offrire ai risparmiatori rendimenti migliori
ridurre la dipendenza dalle piattaforme americane
Guardare agli Stati Uniti come benchmark non significa copiarli, ma riconoscere che la scala conta.
Conclusione
L’Italia ha bisogno di un salto culturale e l’Europa di un salto politico. I risparmiatori non possono più permettersi di restare fermi mentre il resto del mondo corre.
Il denaro non è solo una risorsa: è una leva strategica in un mondo che cambia velocemente. E senza un sistema finanziario moderno, integrato e competitivo, il rischio è quello di restare spettatori, non protagonisti, della nuova economia globale.
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