
Fondi di investimento, banche e mercato dei capitali: quale ruolo gioca la finanza nella sovranità economica?
Assistiamo a una concentrazione estrema dei capitali, al rischio di una nuova bolla tecnologica e al ritardo europeo nella competizione globale.
Negli ultimi quindici anni i mercati finanziari occidentali hanno vissuto una trasformazione radicale: una montagna di liquidità è stata progressivamente assorbita da un numero sempre più ristretto di società. È il fenomeno delle “magnifiche sette”, i colossi tech che dal 2008 sostengono gran parte della crescita dell’indice S&P500 e dettano la direzione dell’innovazione negli Stati Uniti.
Nella sua analisi, Loretta Napoleoni descrive un contesto che non è semplicemente squilibrato: è strutturalmente fragile. E il rischio di una bolla – soprattutto nel settore dell’intelligenza artificiale – cresce ogni mese.
Troppa liquidità, troppo concentrata: come gli investimenti hanno bloccato la concorrenza
Fondi di investimento e fondi pensione, alla ricerca di performance, hanno progressivamente orientato i capitali verso i settori più redditizi. Il risultato è una spirale perfetta:
i grandi conglomerati crescono
attraggono sempre più capitali
acquisiscono o soffocano le piccole imprese innovative
restringono ulteriormente il perimetro della concorrenza
Il paradosso è evidente: mai così tanta liquidità, mai così difficile raccoglierla per una nuova impresa.
Oggi, chi ha un’idea brillante fatica molto più degli anni ’80 a ottenere fondi. Non per mancanza di capitale, ma perché quel capitale è “risucchiato come da un aspirapolvere” dai grandi gruppi tech. È un sistema che, come sottolinea Napoleoni, “si sta impoverendo”.
La fragilità del modello americano e il rischio della bolla AI
La concentrazione non è un dato neutrale. Se il settore tech è dominato da sette società, l’eventuale esplosione di una bolla – ad esempio legata all’intelligenza artificiale – non sarebbe un normale aggiustamento: sarebbe un crollo sistemico.
L’impatto sarebbe maggiore perché la platea di aziende realmente trainanti si è ridotta drasticamente. L’ecosistema sotto la superficie – fatto di società integrate nella filiera dei grandi conglomerati – dipende da un numero troppo ristretto di centri di potere economico.
Perché l’Europa non è riuscita a creare i suoi campioni tecnologici
L’Europa non è priva di talento né di innovazione, ma è indietro di decenni. Per tre motivi principali:
Emorragia di capitale umano: i migliori talenti tech sono stati assorbiti dagli Stati Uniti, attratti da condizioni economiche e strutture di investimento più competitive.
Un quadro normativo più rigido: la tutela della privacy e del consumatore, centrale in Europa, ha rallentato lo sviluppo di servizi basati su dati personali.
Assenza di un vero mercato dei capitali europeo: chi innova non trova un ecosistema finanziario in grado di sostenere crescita, scala e consolidamento.
Il risultato è una dipendenza strutturale:👉 l’Europa esporta prodotti ma importa servizi tecnologici.
Dai pagamenti digitali all’online banking, gran parte delle infrastrutture funziona grazie a tecnologia americana. È un punto debole che, secondo Napoleoni, “andrebbe ridotto strategicamente”, ma che oggi appare difficilmente superabile.
Europa fanalino di coda? Finché l’economia resterà “canaglia”
L’economia globale attuale – definita da Napoleoni “canaglia” – premia chi viola regole, chi sfrutta la debolezza altrui, chi concentra dati, potere e capitali senza freni.
L’Europa, che ha scelto un modello più protettivo, paga questa asimmetria. Gli Stati Uniti respirano grazie ai colossi tecnologici; la Cina corre; l’Europa rimane schiacciata tra i due.
La competizione, oggi, non è equilibrata. E senza un cambio sistemico – in cui gli USA siano portati verso una regolamentazione più vicina a quella europea – il divario continuerà ad ampliarsi.
Conclusione
Il quadro che emerge è chiaro:
troppa liquidità nei posti sbagliati
poca nei posti dove servirebbe davvero
innovazione soffocata
concorrenza mutilata
Europa dipendente e in ritardo
rischio bolla in aumento
Invertire la rotta non è semplice. Ma riconoscere la fragilità del sistema è il primo passo per ripensare un’economia che oggi premia dimensione e potere, non innovazione e pluralità.
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