
Donald Trump è davvero un grande negoziatore? L’America tra diplomazia muscolare e instabilità globale
Con un’agenda fittissima di incontri, accordi e crisi diplomatiche, il presidente statunitense si propone come catalizzatore di cambiamento globale. Ma è davvero un abile negoziatore?
Diplomazia ad alta intensità: dalle crisi alle trattative
Dal Medio Oriente all’Asia, Trump ha messo in campo una diplomazia aggressiva. Ha firmato accordi con i ribelli Houthi, promosso un cessate il fuoco tra India e Pakistan, avviato colloqui con l’Iran e raggiunto una tregua commerciale temporanea con la Cina. Ha persino riaperto i rapporti con la Siria dopo 25 anni e incentivato colloqui tra Russia e Ucraina.
Tuttavia, il suo approccio si basa spesso su una logica di "escalation e mediazione": provoca tensioni, minaccia interventi, impone dazi (come il clamoroso 145% sui prodotti cinesi), salvo poi proporre accordi e riconciliazioni. Questo schema destabilizzante è seguito da promesse economiche, investimenti in tecnologie avanzate e accordi commerciali che sembrano voler sostituire i missili con affari.
Risultati parziali e instabilità latente
Sebbene alcune mosse abbiano portato benefici immediati — come l’aumento della spesa per la difesa nei paesi NATO o la ripresa dei mercati dopo lo shock iniziale dei dazi — molti degli accordi conclusi sono limitati, fragili e temporanei. La tregua commerciale con la Cina dura solo 90 giorni, il cessate il fuoco tra Russia e Ucraina è previsto per 30 giorni, e l’accordo con i ribelli Houthi sembra coprire solo navi americane.
La trattativa con l’Iran, inoltre, si concentra solo sull’arricchimento nucleare, ignorando questioni cruciali come i missili balistici e il sostegno ai gruppi armati. L’accordo di gennaio per Gaza è crollato dopo appena 58 giorni.
I rischi di una strategia impulsiva
Questa diplomazia muscolare genera incertezza strategica e potrebbe minare la credibilità americana. Gli investitori internazionali, pur avendo assistito a un rimbalzo dei mercati, continuano a diffidare della stabilità del dollaro e del sistema commerciale globale. I leader mondiali, pur adulando Trump in pubblico, stanno pianificando possibili scenari di fallimento.
Le concessioni a Pakistan dopo le minacce nucleari e le ambiguità sul rapporto con la Cina — inclusa una discussa frase sulla “unificazione” — hanno aumentato i timori in India e Taiwan. Più in generale, la tattica di “escalation e trattativa” rischia di perdere efficacia man mano che gli avversari imparano a vedere nei bluff americani una costante, non un’eccezione.
Conclusione: serve una visione più stabile
Donald Trump ha sicuramente dimostrato una straordinaria capacità di attrarre attenzione e generare dinamismo diplomatico. Ma una buona negoziazione non è solo questione di iniziativa: richiede visione a lungo termine, credibilità e capacità di mantenere gli impegni. Senza questi elementi, l’America rischia di passare da protagonista a spettatrice di un mondo sempre più frammentato.
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