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Lo scudo fiscale

Il Decreto Legge n.350 del 25 settembre 2001 e successive modifiche ha istituito lo strumento dello scudo fiscale, con esso il legislatore ha inteso consentire a taluni soggetti residenti in Italia di regolarizzare ricchezze detenute all’estero, intendendosi con estero qualsiasi Paese comunitario e non. Sono ritenuti beni detenuti all’estero anche le somme o i valori depositati presso filiali estere di banche o di altri intermediari italiani.
L’emendamento presentato in questi giorni alla Camera sullo scudo fiscale per la regolarizzazione dei capitali illecitamente esportati all’estero è la terza trance, che avrà inizio dal 15 settembre prossimo.
Il primo passo da fare per chi intende utilizzare lo scudo ter, è quello di capire quali capitali si possono continuare a tenere oltreconfine e quali no, da una prima lettura della norma risulta che le attività immobiliari possedute nei Paesi Ue possono essere regolarizzate, lasciandole dove sono, mentre quelle possedute in paesi non appartenenti alla Comunità europea quali la Svizzera ad esempio  sono soggette al rimpatrio.  L’imposta si applica su un rendimento lordo “presunto” delle attività del 2% annuo per i cinque anni precedenti il rimpatrio o la regolarizzazione “con un’aliquota sintetica del 50% per anno comprensiva di interessi e sanzioni e senza diritto allo scomputo di eventuali o crediti”, così recita il testo dell’emendamento.

Le attività finanziarie e patrimoniali che potranno ricadere nella disciplina dello scudo sono quelle “detenute almeno al 31 dicembre 2008 e rimpatriate ovvero regolarizzate a partire dal 15 settembre 2009 e fino al 15 aprile 2010”, resta da vedere cosa accade a chi ha detenuto capitali all’estero per un periodo inferiore ai cinque anni menzionati nella norma. C’è chi teme di dover richiedere all’intermediario estero, già poco collaborativo per colpa del rimpatrio, una corposa documentazione sulle compravendite finanziarie in un arco di cinque anni.  Ma probabilmente non servirà tutto questo. Gli esperti tagliano corto: «Ricostruire un quinquennio di movimentazioni provenienti dagli estratti conto nei paradisi fiscali è impossibile». Perciò la tesi prevalente, salvo smentita nella circolare in arrivo dell’Agenzia delle Entrate, è che per il pagamento della penale al contribuente basterà calcolare il 5% del capitale emerso, rimpatriato o regolarizzato: nella documentazione riservata da presentarsi all’intermediario che come sostituto d’imposta incasserà la penale.

L’emendamento aggiunge che sono esclusi dallo scudo fiscale i reati tributari previsti nel decreto legislativo 74/2000 “ad eccezione dei reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione”. Esclusi tra gli altri anche i delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso, di corruzione, concussione, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, usura, traffico di armi, persone e droghe.
Rispetto all’amnistia presentata in altri Paesi ci sono però rilevanti differenze, come la protezione assicurata all’evasore tramite l’anonimato e il basso onere della sanatoria.
“Altri Paesi hanno introdotto provvedimenti che favoriscono l’emersione spontanea: Stati Uniti, Francia e Regno Unito. Si tratta di provvedimenti che non prevedono l’anonimato del contribuente e dove l’emersione comporta il pagamento dell’intero ammontare delle imposte, inclusive di interessi”, ha detto il governatore della Banca d’Italia Mario Draghi.
Il governatore ha aggiunto che in Usa e Gran Bretagna il vero vantaggio non è tanto economico quanto il fatto che si evitano sanzioni penali.

10/08/2009 | Categorie: Il caso della settimana Firma: Rossella Galli