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La fine della crisi dei debiti sovrani? Solo l’euro ci può salvare

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Nei due giorni di riunioni a Bruxelles il Consiglio europeo non ha convinto i mercati.
SPREAD PIU’ AMPI: Infatti, sul finire della settimana, quando sono state rese note le decisioni prese, i differenziali dei rendimenti sui diversi titoli pubblici europei si sono allargati, seppur di poco, da 186 a 192 punti, ed è cresciuta, nelle aspettative degli investitori, la probabilità che qualche Paese risulti insolvente. È il rischio di insolvenza che ormai preoccupa i mercati, e proprio per questa ragione che il nuovo strumento approvato a Bruxelles, il Meccanismo europeo di stabilità — e anche quelli discussi ma non approvati, come gli eurobond proposti da Mario Monti e ripresi da Juncker e da Tremonti di cui abbiamo ampiamente parlato e sponsorizzato attraverso vari articoli nel nostro portale – non riescono ad arrestare la crisi. Perché, quegli strumenti sono pensati per Paesi che hanno problemi di liquidità, ma non possono far nulla per evitare un’insolvenza.
RISCHIO INSOLVENZA: I mercati temono che alcuni Paesi siano diventati insolventi perché osservano che le loro economie non crescono, e non capiscono come possano ricominciare a crescere. E senza crescita è molto difficile che questi Paesi riescano a far fronte ai propri debiti. La Spagna ad esempio. Con un tasso di sviluppo prossimo a zero, anche se fosse protetta dalla speculazione e tutti i suoi titoli fossero garantiti dall’Europa, per stabilizzare il proprio debito pubblico essa dovrebbe ridurre il deficit di un ammontare pari a 6-7 punti di Pil. Difficile pensare che ciò sia possibile con la disoccupazione al 20%. Solo una ripresa della crescita può rendere credibile l’aggiustamento dei conti pubblici spagnoli.

PRODUTTIVITA’: In dodici anni, da quando è nato l’euro, la produttività totale dei fattori, il miglior indicatore dell’efficienza di un’economia, è diminuita nelle industrie spagnole dell’1% (come in Italia); in Germania è cresciuta del 15%. Se non trova rapidamente il modo di aumentare la produttività, la Spagna ha solo due strade per ricominciare a crescere e convincere i mercati che è ancora solvente: ridurre i salari o svalutare. Oggi gli investitori s’interrogano su quale dei due esiti sia più probabile: l’insolvenza o l’uscita dall’euro. Vi sarebbe un’alternativa: la monetizzazione del deficit da parte della Bce. È la via imboccata dagli Stati Uniti, la cui situazione fiscale è peggiore di quella di Madrid. Ma in Europa non è una via possibile, né auspicabile.
L’ITALIA E IL DECENNIO MANCATO: L’attenzione alla crescita rischia di accostare l’Italia ai Paesi oggi nell’occhio del ciclone. Prima della crisi crescevamo la metà dei Paesi dell’area euro; nel 2008-09 la nostra economia è caduta di più (meno 6% contro meno 3,4%) e ora stiamo uscendo dalla crisi più lentamente. È vero che i nostri conti sono migliori di quelli spagnoli, ma il debito pubblico è molto più alto e in un decennio la produttività totale dell’industria italiana è retrocessa di un punto, come in Spagna. L’unico baluardo che può proteggerci da un’ondata di speculazione è una credibile prospettiva di crescita. E non c’è molto tempo.

21/12/2010 | Categorie: Economia e Dintorni Firma: Vincenzo Polimeno