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La consulenza patrimoniale,
il trust e i limiti di liceità

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Analisi dei limiti di liceità di operazioni patrimoniali poste mediante l’istituzione di trust, in ambito civilistico, esplorando gli aspetti sanzionatori con cui l’ordinamento reagisce ad atti dispositivi.

La casistica di successo ammessa dalla prassi e dalla giurisprudenza, sinteticamente riportata, è tesa a dimostrare come l’elemento caratterizzante del trust, il suo “polimorfismo strutturale”, soddisfi molteplici finalità pratiche che variano dalla pianificazione patrimoniale in ambito familiare a quella imprenditoriale.

1.Il trust e i limiti patologici civilistici

1.1. Meritevolezza degli interessi e nullità

Ritengo utile, ai fini di questa indagine, richiamare l’attenzione del lettore sui possibili aspetti sanzionatori a cui soggiace l’istituzione del trust qualora il concreto assetto di interessi divisato dal disponente abbia finalità contrarie a norme imperative o inderogabili.

Ebbene non è revocabile in dubbio che in questi ultimi anni la mannaia della giurisprudenza si è concentrata su quegli atti dispositivi a contenuto patrimoniale, spesso aventi natura gratuita, posti in essere mediante schemi negoziali con cui si intendeva separare, o “a fortiori” segregare, patrimoni esclusivamente per finalità fraudolenti a danno del ceto creditorio.

Le numerose pronunce della giurisprudenza di fatto hanno disegnato, attraverso il controllo di legittimità, il perimetro operativo entro cui i negozi giuridici destinati a istituire patrimoni separati (trust, fondo patrimoniale, vincoli di destinazioni ex art 2645 – ter c.c.), sono meritevoli di ricevere tutela da parte dell’ordinamento giuridico.

È necessario, dunque, che la liceità dell’atto istitutivo di un trust, istituto giuridico non tipizzato dal nostro legislatore, sia scandagliato in primo luogo attraverso il concetto della meritevolezza della causa ex art. 1322 c.c., posto che l’istituzione di patrimoni separati previsti anche dalla legge, comporta generalmente una valutazione di prevalenza di uno specifico interesse perseguito dalle parti tale da giustificare un sacrificio del ceto creditorio attraverso la limitazione di responsabilità patrimoniale del debitore, in parziale deroga appunto alla previsione normativa ex art 2740 c.c.

Tuttavia la segregazione patrimoniale non può che costituire un mezzo fisiologico al servizio del concreto assetto di interessi perseguito di volta in volta dalle parti.

Qualora il programma negoziale si esaurisca esclusivamente nel realizzare l’effetto segregativo, il trust sarebbe privo di causa. L’indagine quindi dovrà soffermarsi attraverso l’analisi del programma negoziale sulla causa in concreto e non solo sullo scopo espressamente dichiarato.

In definitiva il sindacato di liceità da parte di un giudice dell’atto istitutivo di un trust interno regolato da legge straniera dovrà valutare la causa in concreto giacché potrebbe verificarsi che la stessa sia lecita secondo la legge straniera scelta, ma illecita per il nostro ordinamento.

Le cosiddette “norme di salvaguardia” ex artt. 15, 16 e 18 della Convenzione dell’Aja del 1985 (per esempio, ex art. 15 lett. a) protezione di minori e incapaci; lett c) i testamenti e la devoluzione dei beni successori, in particolare la legittima; lett. e) a protezione di creditori in caso di insolvibilità) sovraintendono alla compatibilità del regolamento istitutivo del trust con norme imperative, di applicazione necessaria o di ordine pubblico, la cui violazione produce la nullità dell’atto istitutivo (si veda oltre, il caso di imprenditore insolvente) e dei successivi atti di conferimento.

Infine, l’art. 13 sempre della Convenzione dell’Aja dà facoltà al giudice di non riconoscere un trust interno qualora lo stesso, ancorché superi il vaglio di compatibilità con le precedenti previsioni normative testé citate, risulti regolato da legge straniera con intenti abusivi o fraudolenti (“ripugnanti”, Cfr. Trib. Bologna n.4545/2003).

Avremo modo di verificare proseguendo questa breve trattazione come in taluni specifici casi l’istituzione di trust a scopo puramente liquidatorio in ambito imprenditoriale possa configurare un negozio giuridico nullo nel caso in cui venga conferito l’intero patrimonio sociale per violazione dell’art. 15 lett. e) e 18 della Convenzione dell’Aja in situazione finanziaria societaria già di insolvenza.

Simili operazioni sono poste in essere, infatti, in assenza di qualsivoglia accordo preventivo con i creditori e di valutazione certa dei beni nonché di una elencazione degli stessi destinati alla liquidazione, evidenziando in tal guisa la sola concreta finalità del trust cioè, evitare il ricorso a procedure concorsuali e affidando al trustee un’attività liquidatoria discrezionale priva di criteri certi di liquidazione e in assenza di qualsiasi interlocuzione con il ceto creditorio (Cfr. Trib. Pescara sent. 758/2016).

Il disponente e il controllo effettivo sul fondo

Uno dei casi più frequenti sottoposto al vaglio del giudice è lo schema negoziale posto in essere dal disponente attraverso cui continua a mantenere il controllo effettivo del fondo, disponendone come cosa propria e generando nei confronti dei terzi una falsa impressione, un trust apparente.

Tale trust definito sham trust dalla dottrina ( Lupoi, Istituzioni, 2016) e dalla giurisprudenza (ex multis: Trib. Milano 27/05/2013; Trib. Bologna 09/01/2014) viene categoricamente sanzionato con la nullità dell’atto istitutivo in quanto l’indagine del programma negoziale evidenzia un trust privo dei requisiti minimi previsti dall’art. 2 della Convenzione dell’Aja.

Parimenti sanzionato dalla giurisprudenza civilistica (trust non riconoscibile in quanto confliggente con il dettato convenzionale) è il negozio dispositivo simulato, di fatto riconducibile per la giurisprudenza alla figura dello sham trust, con cui il trasferimento della proprietà del bene (al trustee), manifestato all’esterno, non corrisponde alla reale intenzione delle parti, realizzando così una divergenza tra volontà dichiarata e quella effettiva, sia nella forma della simulazione assoluta che relativa.

1.2. Azione revocatoria ordinaria

Orbene, se abbiamo sinteticamente richiamato l’attenzione del lettore sugli aspetti sanzionatori preliminari a cui un atto istitutivo può andare incontro in termini di validità dell’atto istitutivo stesso (meritevolezza degli interessi concreti perseguiti), prendiamo ora in esame lo strumento rimediale a cui sovente ricorre il creditore “minacciato” dalla diminuzione della garanzia patrimoniale del suo debitore a seguito di atti dispositivi.

Punto di partenza è la garanzia generica patrimoniale del debitore prevista dall’art. 2740 c.c. secondo cui “il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri. Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”.

La giurisprudenza si richiama alla violazione della stessa norma allorché, nel difficile compito di conciliare gli interessi del ceto creditorio e quelli relativi all’autonomia negoziale, rende inefficace gli atti dispositivi patrimoniali in “odor di frode”.

Verificati e soddisfatti precisi presupposti, infatti, l’atto dispositivo posto in essere dal disponente, interpretato come attività prodromica al depauperamento patrimoniale del debitore e della sua garanzia generica, può essere dichiarato inefficace a seguito di azione revocatoria promossa dal creditore ex art. 2901 c.c.

In effetti nei casi in cui il debitore ponga in essere atti dispositivi tale da ridurre il proprio patrimonio rendendolo potenzialmente insufficiente a soddisfare i diritti del creditore, costui ha la possibilità (entro un termine di 5 anni) di ottenere l’inefficacia nei suoi confronti dei suddetti atti di disposizione al fine di ricostituire la garanzia generica individuata dal patrimonio del debitore e sottoporre successivamente ad azione esecutiva i beni oggetto della disposizione.

Ricordiamo che, in caso di atto a titolo gratuito posto in essere successivamente al sorgere del credito, i requisiti per esperire l’azione revocatoria sono:

1. esistenza del pregiudizio arrecato al creditore – l’eventus damni;
2. elemento soggettivo: scientia damni con onere probatorio a carico del creditore anche mediante presunzioni circa la consapevolezza in capo al debitore del pregiudizio arrecato (qualora l’atto fosse a titolo oneroso è necessario dimostrare l’esistenza dell’elemento soggettivo anche in capo al terzo che nel caso di trust potrebbe essere il trustee o i beneficiari).

Per quanto concerne sempre l’elemento soggettivo nel caso di atti dispositivi anteriori rispetto al sorgere del credito è necessario dimostrare da parte del creditore la dolosa preordinazione del debitore.

Caso

  • 1. Società debitrice nei confronti di una banca;
  • 2. i due soci sono fideiussori; uno dei soci anche amministratore unico;
  • 3. conferimento immobili successivo al sorgere del credito in trust familiare (trustee familiare) a pochi giorni dalla ristrutturazione aziendale e riconoscimento del debito

La Corte di Appello di Brescia con sentenza n. 310/2017 ha ritenuto revocabile l’atto dispositivo ex art. 2901 c.c.

Si tenga presente che l’elemento oggettivo ovvero eventus damni è potenzialmente ravvisabile nel caso di specie, nella sottrazione alla garanzia patrimoniale dei creditori di un compendio immobiliare o, comunque, di singoli beni immobili prima facenti capo a ciascuno dei disponenti giacché tale segregazione implicherebbe una maggiore difficoltà nella realizzazione del credito.

L’elemento soggettivo, la scientia damni, si ritiene sussistente dal momento che i disponenti erano soci della garantita e uno di essi anche amministratore unico e pertanto consapevoli della critica situazione finanziaria della società debitrice principale.

Quale strategia può porre in essere allora il debitore in casi simili?
È lo stesso decisum dei giudici a lasciar intendere che il pregiudizio ravvisabile nell’atto dispositivo del conferimento dei beni in trust (si badi bene non il semplice atto istitutivo del trust) sarebbe stato sterilizzato qualora i debitori avessero dimostrato di continuare a possedere un patrimonio residuo sufficiente a soddisfare la banca creditrice (Conforme, ex multis: Trib. di Pavia n.193/2015;Trib. Alessandria 28/12/2016).

Infine, va menzionato il nuovo art . 2929 bis c.c. introdotto con D.L. 83/2015 (Legge di conv.6 agosto 2015, n. 132) che una interpretazione mediatica frettolosa l’ha battezzata “applicazione anticipata della revocatoria”.
Un’azione diretta all’espropriazione di beni oggetto di vincolo di indisponibilità o alienazione a titolo gratuito, da parte del creditore munito di titolo esecutivo senza la preventiva azione revocatoria e introdotto dal legislatore, senza molti giri di parole, proprio a causa dei numerosissimi casi di atti dispositivi a titolo gratuito e/o destinati ad apporre un vincolo di indisponibilità sui beni, in cui l’unico fine è la segregazione del patrimonio a danno dei creditori.

Trattasi in realtà di un incisivo strumento rimediale offerto al creditore verosimilmente danneggiato da operazioni patrimoniali con un incredibile inversione dell’onere della prova, posto che la norma introduce una presunzione ex lege del carattere “frodatorio” degli atti costitutivi del vincolo di indisponibilità e alienazione a titolo gratuito, esonerando il creditore dal dimostrare la conoscenza del pregiudizio in capo al debitore a cui non resta che dimostrare la sua “ignoranza” circa il nocumento arrecato alle ragioni del ceto creditorio solo in sede di opposizione all’esecuzione.

10/04/2020 | Categorie: Consulenza Patrimoniale Firma: Francesco Guariniello