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La consulenza finanziaria nella MIFID

L’introduzione della direttiva comunitaria n. 39 del 21 aprile 2004 (cosiddetta MIFID) cambia radicalmente il concetto di servizio di consulenza finanziaria, riconducendo tale attività tra i “servizi e attività di investimento” e sottoponendo la sua esecuzione ad una specifica autorizzazione e vigilanza. La MIFID riporta la consulenza alla sua giusta collocazione tra i servizi finanziari che hanno bisogno per la loro prestazione nei confronti degli investitori di esperienza e professionalità sia in termini di risorse umane sia di quelle finanziarie e tecnologiche.
Il processo normativo che, nel corso degli ultimi quindici anni, ha portato il legislatore comunitario a riqualificare la consulenza in materia di investimenti tra i servizi e attività di investimento è stato molto articolato, e non sempre le scelte dello stesso legislatore sono state di facile attuazione nell’ambito finanziario. In queste prime righe, si andrà a delineare un breve excursus storico dell’iter legislativo relativo alla consulenza finanziaria, dalla legge del 2 gennaio 1991 fino ai giorni d’oggi con l’introduzione della MIFID.
Tra le attività d’intermediazione mobiliare (oggi servizi di investimento) stabilite dalla ormai lontana legge del 2 gennaio 1991 n. 1, veniva ricompresa anche quella di consulenza in materia di valori mobiliari, il cui esercizio professionale, nei confronti del pubblico, era sottoposto ad autorizzazione e riservato esclusivamente alle SIM, alle Banche, agli agenti di cambio e alle società fiduciarie. La prima direttiva comunitaria 1993/22/CEE (l’antesignana della MIFID) diversamente dalle scelte del nostro legislatore, aveva classificato l’attività di consulenza come servizio accessorio e non tra i servizi di investimento. Il nostro ordinamento recepì il legislatore comunitario con il decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415 (decreto Eurosim), qualificando la consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari come servizio accessorio. Lo stesso decreto legislativo 24 febbraio 1998 (TUF) non apportò modifiche alla norma precedente e confermò il servizio di consulenza all’articolo 1, comma 6, lett. f) come accessorio, distinto dai servizi di investimento di cui al comma 5 del medesimo articolo. In questo lasso di tempo, cioè dal 1996 ad oggi, il servizio di consulenza liberato dalle riserve di attività, non più di appannaggio solo degli intermediari autorizzati, poteva essere svolta da chiunque, sia in forma individuale sia in quella societaria. Ne conseguiva che la prestazione del servizio di consulenza poteva essere esercitata senza una specifica autorizzazione, da qualunque soggetto, e in qualsiasi forma. Bisogna altresì precisare che la liberalizzazione della consulenza non era stata riconosciuta come attività esercitabile dai promotori finanziari, i quali, come specificato dalla stessa Consob in diversi interventi, non potevano svolgere l’attività di consulenza se non “per conto del soggetto abilitato per il quale operano o di altro soggetto appartenente al medesimo gruppo”, con la conseguenza che i promotori finanziari nonostante potessero effettuare il servizio accessorio di consulenza, lo svolgevano in qualità di meri incaricati e sotto la direzione di un intermediario proponente, titolare del servizio. Il promotore finanziario poteva svolgere la cosiddetta attività di consulenza illustrativa e/o strumentale, avente esclusivamente lo scopo di orientare il cliente verso il prodotto di investimento più adatto al suo profilo e a suoi obiettivi.
Fino ad oggi (introduzione MIFID) il servizio di consulenza veniva regolato in maniera differente a seconda che il servizio fosse offerto da un intermediario autorizzato o da altro soggetto. Se l’attività di consulenza veniva prestata dagli intermediari autorizzati alla prestazione dei servizi di investimento, in quanto servizio accessorio, era disciplinata dal Testo Unico e dai relativi regolamenti attuattivi. Infatti gli articoli 21 e 23 del TUF e l’articolo 26 e seguenti della11522/ 98 stabilivano i criteri generali di comportamento degli intermediari nella prestazione dei servizi di investimento e di quelli accessori, tra cui l’obbligo di forma scritta, pena la nullità del contratto nonché l’obbligo di consegna di un esemplare del contratto ai clienti.
Se, invece, la consulenza finanziaria era offerta da soggetto, diverso dagli intermediati autorizzati, trovava applicazione le regole di diritto comune, cioè dalle norme codicistiche.Ma si veda ora, che cosa intende la MIFID per consulenza in materia di investimenti: nei presupposti della direttiva 2004/39/CE si legge che “per la via della sempre maggiore dipendenza degli investitori dalle raccomandazioni personalizzate è opportuno includere la consulenza in materia di investimenti tra i servizi di investimento che richiedono un’autorizzazione”. La ragione di tutto ciò, è da ricondurre al significato di consulenza finanziaria, ossia un’attività “delicata” che per sua natura, similmente agli altri servizi finanziari, coinvolge il denaro dei risparmiatori, i quali hanno necessità, di essere tutelati dai consigli e raccomandazioni in materia di investimenti fatte dagli “esperti” del settore. La MIFID definisce il servizio di consulenza in materia di investimenti come “la prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa dell’impresa di investimento, riguardo ad una o più operazioni relative a strumenti finanziari”.
La prestazione della raccomandazione in primo luogo deve essere bilaterale, cioè tra intermediario e cliente, personalizzata ossia diretta e adatta per uno specifico cliente e l’oggetto della raccomandazione deve riguardare uno specifico strumento finanziario. La consulenza “personalizzata” va pensata come un vestito sartoriale fatto su misura per il cliente, in cui il sarto (l’intermediario) per confezionare il “giusto abito”, deve tenere in considerazione le “caratteristiche” del cliente, la sua tolleranza al rischio, i suoi obiettivi di investimento, le sue necessità.
Inoltre perché si possa delineare come attività specifica e non generale, la consulenza in materia di investimenti è tale non solo se comprende una raccomandazione personalizzata, ma deve avere come riferimento operazioni di :
a) comperare, vendere, sottoscrivere, scambiare, riscattare, detenere un determinato strumento finanziario o assumere garanzie nei confronti dell’emittente rispetto a tale strumento;
b) esercitare o non esercitare qualsiasi diritto conferito da un determinato strumento finanziario a comperare, vendere, sottoscrivere, scambiare, riscattare, detenere un determinato strumento finanziario.
Se si vuole riassumere quanto detto sopra, sussistono due condizioni affinché si possa parlare di consulenza in materia di investimenti: la prima riconducibile alla personalizzazione della raccomandazione, che deve essere diretta e adatta a uno specifico cliente, la seconda, invece, deve riguardare l’acquisto, la vendita, la sottoscrizione, il riscatto o il mantenimento di uno strumento finanziario ben determinato. Tutto questo determina che rientra nel concetto di consulenza su un “determinato strumento finanziario” qualsiasi raccomandazione del tipo “ Caro cliente, vedo dal suo conto corrente che ha 20.000 da investire, io le consiglio il fondo XY ”, oppure qualsiasi parere, fornito di propria iniziativa o richiesto dal cliente, quale ad esempio, “ Caro cliente, le sue azioni XY sono sopravalutate, è meglio venderle”.
Inoltre “una raccomandazione non è una raccomandazione personalizzata se viene diffusa esclusivamente tramite canali di distribuzione o se destinata al pubblico”. Questo significa che non è consulenza, quella che si rivolge a un pubblico indistinto. Se per esempio un soggetto invia tramite posta elettronica a 1000 clienti una raccomandazione di acquisto su un determinato strumento finanziario, tale raccomandazione manca dell’elemento “personalizzazione”, infatti il consiglio dell’intermediario rimane identico per tutti e prescinde dal profilo finanziario di ciascun cliente. Non rientra nella fattispecie di consulenza su strumenti finanziari quella “fornita in un quotidiano, giornale, rivista o in qualsiasi altra pubblicazione destinata al pubblico in generale (incluso tramite internet) o trasmissione televisiva. In questo caso si perde l’elemento personalizzante tra fornitore di raccomandazioni e cliente e si rientra nel campo della ricerca finanziaria, ossia quelle informazioni che “raccomandano o suggeriscono, implicitamente o esplicitamente, una strategia di investimento, riguardante uno o diversi strumenti finanziari, compresi i pareri sul valore o il prezzo attuale e futuro di tali strumenti, destinati a canali di distribuzione o al pubblico”. L’attività di raccomandazioni generali rientra insieme alla ricerca in materia di investimenti e analisi finanziaria nei servizi accessori.. Nello specifico l’attività degli analisti finanziari deve inoltre osservare aggiuntivi requisiti, ossia deve essere presentata come “una spiegazione obiettiva o indipendente delle questioni oggetto della raccomandazione” e non deve essere identificata come servizio di consulenza.
Allo stesso modo non rientra nell’ambito della normativa della direttiva MIFID , l’attività di consulenza generica , ossia l’asset allocation o di financial planning. In altri termini quando un intermediario elabora con il proprio cliente un piano finanziario di lungo termine in funzione delle sue esigenze, tale elaborazione manca dell’elemento “consiglio” sugli acquisti degli strumenti finanziari. Ugualmente si può parlare di consulenza generica ad esempio, quella in cui un soggetto suggerisce al cliente di investire il 40% in fondi monetari nell’area Euro, mentre la restante parte in Fondi azionari. Una consulenza appunto generica in quanto il soggetto “consulente” consiglia solo la tipologia della strumento finanziario (fondo monetario area Euro) ma non entra nello specifico su quale singolo e ben preciso OICR in cui impiegare il denaro del risparmiatore.
Il legislatore comunitario attribuisce grande peso al servizio di consulenza in materia di investimenti e l’introduzione della nuova direttiva ne ha offerto l’evidenzia, infatti la MIFID ha voluto offrire ai clienti o potenziali clienti degli intermediari che prestano il servizio di consulenza un grado di tutela massimo , superiore a quella di altri servizi di investimento e pari a al servizio di gestione. Infatti prima di prestare l’attività di consulenza in materia di investimenti, l’intermediario ha l’obbligo di acquisire informazioni dal cliente stabilendo che “quando effettua consulenza in materia di investimenti o gestione di portafoglio, l’impresa di investimento ottiene le informazioni necessarie in merito alla conoscenze ed esperienze del cliente, in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio, alla situazione finanziaria ed agli obiettivi di investimento per essere in grado di raccomandare i servizi di investimento e gli strumenti finanziari adatti al cliente o al potenziale cliente”. Ne consegue che l’intermediario non può procedere al servizio di consulenza se il cliente non abbia rilevato la propria esperienza, situazione finanziaria ed obiettivi di investimento. Bisogna altresì precisare che l’obbligo per l’intermediario di rispettare il cosiddetto criterio di adeguatezza trova applicazione, visto la natura prettamente personale dei servizi , solo nella prestazione della gestione e della consulenza in materia di investimenti. Di contro negli altri servizi di investimento l’intermediario deve acquisire dal cliente solo le informazioni in merito alle sue conoscenze ed esperienze in materia di investimenti riguardo al tipo specifico di prodotto o servizio richiesto e nel caso della negoziazione, ricezione e trasmissione ordini, nel momento in cui si verificano determinate condizioni, gli intermediari possono anche non avere nessuna informazione dal cliente.
In materia di forma contrattuale l’art. 39 della direttiva di secondo livello non prevede l’obbligo della forma scritta di tale contratto tra intermediario e cliente ma questo non significa che non possa essere stipulato per iscritto il contratto di consulenza.
Inoltre l’esercizio dell’attività di consulenza in materia di investimenti, anche se qualificato come servizio di investimento, potrà essere svolto anche da soggetti non aventi lo status di intermediari, ossia anche da persone fisiche, i cosiddetti consulenti indipendenti, a condizione però che questi ultimi non detengano somme di denaro o strumenti finanziari di pertinenza della clientela. L’art. 18 bis del Testo Unico della Finanza introduce la figura dei consulenti finanziari, ossia persone fisiche che in possesso di requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali, stabiliti con regolamento del Ministro dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Italia e la Consob, prestano la consulenza in materia di investimenti. I consulenti finanziari saranno iscritti in un apposito albo tenuto da un organismo avente natura associativa, i cui rappresentanti saranno nominati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze, sentite la Banca d’Itale e la Consob.

22/01/2008 | Categorie: Finanza personale Firma: Redazione