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Martini: “Portafogli più
efficienti con gli illiquidi”

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Paolo Martini, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Azimut, nell’intervista esclusiva concessa a MyAdvice, ha illustrato qual è l’approccio strategico del gruppo in riferimento alle forme di investimento alternative

Il manager di Azimut spiega la view dell’azienda riguardo alle asset class alternative

“Gli investimenti illiquidi permettono di diversificare e gestire al meglio il portafoglio”, è questo il forte messaggio che emerge dalla chiacchierata con Paolo Martini. Nell’intervista rilasciata a MyAdvice, l’ad di Azimut ha fornito spunti interessante sul tema delle asset class alternative, svelando anche i possibili trend futuri e come gli investimenti del gruppo potranno supportare sempre di più l’economia reale del Paese.

La diversificazione è uno dei mantra principali negli investimenti. In questo senso, qual è la valenza strategica che possono avere i prodotti illiquidi in un portafoglio?

“Come dimostrano tutti i grandi investitori internazionali, l’inserimento di asset class illiquide migliora l’efficienza del portafoglio. Incrementa le performance e riduce la volatilità. Sono degli ottimizzatori efficienti, perché hanno una minor correlazione con l’andamento dei mercati. Oggi viviamo in un mondo globalizzato in cui è sempre più difficile diversificare, inserire delle asset class meno influenzate dalla correlazione generale è un vantaggio importante. Un altro beneficio prezioso è che molto spesso queste asset class non sono liquidabili. Ciò ti permette di evitare alcuni errori che, come insegna la finanza comportamentale, possono verificarsi in varie fasi dell’investimento. Ti consente di avere maggior rigore e disciplina nella gestione del portafoglio. All’interno dell’asset class illiquida ci sono poi diverse soluzioni. Dal private equity al venture capital, oltre anche al private debt. L’economia reale è il core della nostra asset allocation strategica e desideriamo che i nostri clienti investano in questo tipo di prodotti. Anche perché sono tra i pochi che saranno in grado di offrire performance importanti per i prossimi anni”.

Quando si parla di crediti deteriorati, lo si fa spesso con toni allarmistici: quando gli Npl possono rappresentare anche una potenziale risorsa?

“Gli Npl sono una grossa opportunità d’investimento per chi ha le skill giuste. Servono infatti delle forti competenze tecniche per riuscire a sfruttarli al meglio. Ci vogliono team dedicati che possano capire con delle analisi approfondite dov’è possibile andare a generare valore. Si tratta infatti di studiare i documenti e individuare i crediti che possono ripagare l’investimento. Parlarne in torni allarmistici è senz’altro sbagliato, anche perché si tratta di Npl di secondo livello. Quindi si vanno a prelevare questi crediti deteriorati dalle banche, definendo anche un pricing particolare. Ci sono grosse opportunità di rendimento, perché puoi comprare a condizioni molto favorevoli. C’è spazio per generare valore per chi decide di investire”.

Talvolta si punta sugli asset illiquidi per ricercare unicamente rendimenti più alti, qual è l’approccio di Azimut a questo genere di investimenti?

“Il nostro è un approccio molto strategico. Quindi non è dettato da un’esigenza tattica, da eventuali vantaggi fiscali che possono o meno esserci, né da un contesto di mercato favorevole coi tassi a zero. Si tratta davvero di una strategia fondata su un approccio di lungo termine. Il punto di forza di Azimut vuol essere l’avere una rete di consulenti finanziari che lavora anche su questi temi, ovviamente dopo migliaia di ore di formazione e informazione. Pensiamo che questo genere di asset possa migliorare il rapporto tra cliente e consulente, perché ci sono performance migliori e inoltre l’investitore capisce meglio i temi di cui si parla grazie al link con l’economia reale. Abbiamo infatti molti clienti imprenditori, che in media hanno circa 200-250mila euro, quindi un taglio-medio alto. Tutto diventa più gestibile quando si trattano temi più vicini a loro. Abbiamo un approccio molto educativo, sia sul consulente sia sull’investitore, oltre a un approccio sociale, nella volontà di aiutare le aziende a creare occupazione. Abbiamo elaborato un piano che punta a generare 50mila posti di lavoro in cinque anni. C’è grande attenzione anche al tema del supporto alle aziende italiane. Ci piace l’idea di creare valore sia per chi investe e sia per l’economia del nostro Paese. Poi di sicuro teniamo conto del fatto che oggi come oggi, scegliendo soluzioni come il private equity o il private debt, c’è un premio importante in termini di illiquidità”.

Osservando lo scenario macroeconomico attuale, tra tassi bassi e volatilità ridotta, i fondi alternativi possono soddisfare anche le esigenze del segmento private?

“Da tempo il private si avvicina a questo mondo. Io penso che siano più pronti i clienti dell’industria. Gli addetti ai lavori sono un po’ spaventati dalle novità introdotte da questo tipo di soluzione. Questo è paradossale. La clientela private, sotto forma anche di club deal, crescerà tanto. Ci allineeremo a Paesi più evoluti in tal senso come Stati Uniti e Inghilterra, dove si lavora già così. Noi abbiamo fatto IPO Club, raccogliendo 150 milioni. I club deal funzionano così: io ho un’operazione interessante, la propongo a un gruppo ristretto di soggetti, si fa l’investimento e si va su un concetto di nicchia che piace molto. Abbiamo soluzioni sia per la clientela retail, come Demos1, e sia per i clienti UHNWI. Stiamo collocando ad esempio il fondo di private equity Global Invest con Hamilton Lane, che ha una soglia di acceso di 500mila euro. Poi anche la congiuntura, coi tassi bassi, aiuta la clientela di fascia, alta perché ha più consapevolezza e sa che lasciando i soldi sul conto corrente o investendo in obbligazioni chiuderà con zero ricavi se non addirittura in negativo. I clienti private sono naturalmente più sensibili nel cercare forme alternative di investimento”.

Dal punto di vista del social impact, questo tipo di asset investe direttamente nell’economia reale: quanto conta per voi tale risvolto, vista anche la recente e brillante esperienza dell’ALI Expo?

ALI Expo ha dimostrato la voglia di una grossa categoria di persone di capire di più, perché è stato un grande evento formativo dove i contenuti hanno avuto un ruolo da protagonista. Il mondo dell’economia reale e quello dell’ESG sono estremamente interconnessi, perché le aziende hanno un forte legame col territorio. Tutte le nuove iniziative nascono molto più Esg compliant e tra l’altro è più facile capire in una PMI quanto questa segua certi principi. Se devi analizzare i rendimenti di una realtà internazionale presente in 50 Paesi e con più business, puoi solo fidarti di ciò che dicono i vari audit e le società che certificano questo mondo. E quello delle certificazioni è purtroppo un argomento spesso non scientifico al 100%. Con le PMI invece vai a vedere cosa fa l’azienda, la vivi, la conosci e riesci a capire se ha un approccio Esg vero. L’economia reale, la creazione di posti di lavoro, lo sviluppo sul territorio sono i nostri capisaldi. In Azimut Libera Impresa stiamo sviluppando anche la parte relativa al Real Estate e uno degli ultimi prodotti lanciati creerà delle infrastrutture sociali. Ci sarà una vera e propria riqualificazione di alcune aree demografiche dell’Italia, che è quanto di più Esg ci possa essere. Dunque i due temi di cui parliamo, Esg ed economia reale, nascono assolutamente intrecciati e lo sono molto più di quanto si possa pensare superficialmente”.

Quali investimenti state facendo concretamente per costruire la vostra gamma di prodotti illiquidi?

“La strategia di crescita di Azimut Libera Impresa si basa su tre pilastri. Anzitutto stiamo costruendo un team qualificato: oltre agli esperti già saliti a bordo, stiamo attraendo talenti dal mondo del private equity, selezionando figure senior, grazie anche a quanto abbiamo fatto ad ALI Expo. Andremo a creare noi stessi dei fondi, sfruttando l’esperienza di tutti quei professionisti di grande esperienza subentrati e subentranti. La seconda fetta importante di prodotti saranno quelli che realizziamo grazie a delle partnership con realtà italiane e internazionali. Pensiamo ai prodotti lanciati con DEA Capital ed Hamilton Lane. Il terzo e ultimo pilastro è quello dei coinvestimenti, i cosiddetti sidecar. In questi fondi, quando il nostro partner investe una somma su un’azienda, noi andiamo a versarne un’altra in base a quelli che sono gli accordi preventivi. Per cui nei prodotti in fase di lancio nel 2020, che sono circa dieci, un numero molto importante, sono indubbiamente queste le tre modalità di sviluppo che andremo a utilizzare”.

22/01/2020 | Categorie: Dossier Firma: Redazione