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Inflazione? Per i Cinesi una parola tanto odiata

L’inflazione in Cina non è soltanto un’insidia economica, ma un pericolo sociale.

L’ARMONIA: Più che negli altri paesi rappresenta un attentato a ciò cha la sua cultura considera beni irrinunciabili: la stabilità, il progresso controllato, l’acquiescenza con la naturale evoluzione della società. La sintesi moderna di questa tradizione è la parola d’ordine della Presidenza di Hu Jin Tao: "costruire una società armoniosa". L’inflazione rimanda al caos, alla perdita di punti di riferimento, agli assalti alle banche per ritirare i depositi, come negli ultimi giorni della Cina nazionalista nel 1949. Aumento dei prezzi e fiducia nei governanti sono inversamente proporzionali; la credibilità della dirigenza è legata alla capacità di creare ricchezza e gestire le difficoltà. Per questi motivi Pechino sta considerando molto seriamente la questione.
CRESCITA SENZA INFLAZIONE? La Cina, almeno ufficialmente, è vicino al sogno di tutti i paesi: una crescita senza inflazione. La crisi è alle spalle, un parentesi aperta e chiusa velocemente; quest’anno il Pil è previsto aumenti di due cifre. L’indice generale dei prezzi – il Cpi – ha segnato a novembre un incremento su base annua del 5,1%, la più alta rilevazione mensile dal luglio 2008. Il valore non è intrinsecamente preoccupante, essendo di poco superiore alla soglia del 4% comunemente ritenuta fisiologica. Tuttavia la composizione e la percezione dell’inflazione provocano inquietudine ed iniziativa.
COMPONENTE ALIMENTARE: Nell’indice di rilevazione, il peso della componente alimentare è preponderante: un terzo del totale. In Cina, come in tutti i paesi in via di sviluppo, questo valore è molto alto, al contrario degli Stati Uniti dove rappresenta soltanto l’8% del paniere che misura l’inflazione. I prezzi dei prodotti alimentari sono cresciuti del 10,1%, quelli delle verdure del 31%. Persino McDonald’s ha aumentato il costo dei sui menu. Sono modifiche avvertite come un peggioramento diretto della capacità d’acquisto. La stessa sensazione deriva dall’aumento dei carburanti e dunque del trasporto dell’energia che pesa sulle famiglie.
PREZZI AMMINISTRATI? In termini economici si assiste ad una trasmissione veloce dal PPI (Producer Price Index) al CPI, con ripercussioni automatiche sui beni di consumo. Costa di più produrre; il cemento ad esempio ha raggiunto nuovi record, perché la sua produzione è penalizzata dalle nuove restrizioni sui risparmi energetici. Di fronte alla serietà della situazione il Governo ha avviato un "ritorno al futuro", convinto che per migliorare la situazione sia necessario ripercorrere la strada dei prezzi amministrati. È una pratica che si aggiunge alle consuete manovre economiche, come l’aumento della riserva obbligatoria per le banche o del tasso d’interesse. La National Development and Reform Commission, potente espressione del Governo, ha respinto la proposta della Municipalità di Pechino di aumentare i costi delle utenze. Le amministrazioni locali sono state chiamate a vigilare sui prezzi, per evitare la speculazione e considerare le esigenze degli strati più poveri.
CONTRASTO ALL’INFLAZIONE: La NDRC ha infine tolto dai magazzini statali milioni di tonnellate di prodotti da gettare sul mercato per calmierare i prezzi. Si tratta di grano, mais, riso ed oli commestibili. Laddove queste misure intermedie non fossero sufficienti il Governo si è dichiarato pronto ad imporre prezzi politici. Si tratterebbe di una manovra estrema, quasi mai usata negli ultimi venti anni e che smentirebbe la lunga marcia della Cina verso l’economia di mercato, sacrificata in nome della stabilità e della continuità.

22/12/2010 | Categorie: Economia e Dintorni Firma: Denise Tagnin