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Il promotore finanziario e l’imprenditore

Quando l’attività del promotore finanziario sia espletata in forma di contratto di collaborazione autonoma (agenzia o mandato), potrà avere carattere d’impresa commerciale in presenza di una determinata e sufficiente organizzazione. L’attività imprenditoriale può essere svolta sotto forma di impresa individuale, di impresa familiare o di associazione in partecipazione.
Con la comunicazione DIN/1005619 del 25 gennaio 2001, la Consob è intervenuta sulla questione della qualificazione giuridica dell’attività di promotori finanziari, stabilendo che qualora l’attività del promotore finanziario sia svolta secondo requisiti minimi previsti secondo l’articolo 2082 del codice civile ossia attività organizzata, esercitata professionalmente, con metodo economico, lo stesso soggetto può assumere la veste di imprenditore individuale. A detta conclusione la Consob è giunta dopo aver escluso che il promotore finanziario possa considerasi professionista intellettuale essendo a tale fine insufficiente la semplice iscrizione all’albo e, soprattutto, essendo la sua attività volta essenzialmente alla promozione e vendita dei prodotti finanziari e dei servizi di investimento per conto di un soggetto abilitato.
La Consob ha espresso parere favorevole sulla possibilità da parte del promotore finanziario di esercitare la sua professione secondo lo schema dell’impresa familiare, disciplinata dall’articolo 230 bis del codice civile. Questa conclusione necessità però di una specifica. Seguendo quanto affermato dall’art. 31 del Tuf, non è consentito svolgere l’attività di promozione di prodotti finanziari e di servizi di investimento in qualunque forma societaria. La Consob ha precisato che essendo l’attività di promozione finanziaria riservata ai promotori finanziari, i familiari che prestano la loro attività nell’impresa familiare non potranno essere adibiti allo svolgimento delle attività proprie del promotore finanziario bensì solo all’esercizio di mansioni strumentali o ancillari rispetto a quelle che costituiscono l’oggetto dell’impresa, quali, a mero titolo esemplificativo, i servizi di segreteria, la tenuta della contabilità o l’espletamento di funzioni di carattere amministrativo. In conclusione la titolarità dell’impresa spetta esclusivamente al promotore e solo lui sarà responsabile nei confronti di terzi per le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’impresa familiare.
Recentemente poi la Cassazione ha ritenuto ammissibile la dichiarazione di fallimento di un promotore che disponga di una propria autonoma organizzazione (che esorbiti, ovviamente, le dimensioni della piccola impresa).
“Ai fini della configurabilità dell’esercizio di un’impresa da parte del promotore finanziario (figura disciplinata prima dall’art. 5 della legge n. 1/1991, poi dall’art. 23 D.LGS. n. 415/1996 e quindi dall’art. 31 D.LGS. n. 58/1998) è irrilevante che quest’ultimo agisca sulla base di un mandato con rappresentanza o senza rappresentanza. Lo stesso, infatti, è definito, dalle disposizioni citate, come colui che esercita professionalmente, “in qualità di dipendente, agente o mandatario”, l’attività di offerta fuori sede di servizi finanziari; pertanto, affinché assuma la qualità di imprenditore è sufficiente che svolga la sua attività sulla base di una propria autonoma organizzazione di mezzi e a proprio rischio, considerato che gli altri elementi che caratterizzano l’attività di impresa già sono presenti, per definizione, nell’attività del promotore finanziario, la quale rientra, quando è svolta da un imprenditore, tra le attività ausiliarie previste dall’art. 2195, n. 5, cod. civ. e costituisce, dunque, impresa commerciale (con conseguente assoggettabilità, tra l’altro, a fallimento)”.

22/01/2008 | Categorie: Mondo consulenti Firma: Redazione