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I patrimoni italiani all’estero

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Un primo focus, a cui seguiranno altri approfondimenti, sui capitali detenuti oltreconfine dai nostri connazionali e sulle normative che disciplinano la pratica

La spiccata propensione degli italiani all’internazionalità, le vicende stesse dell’emigrazione, unitamente a molteplici altre motivazioni quali la ricerca in particolari periodi storici di condizioni ambientali, politiche, fiscali e istituzionali più rassicuranti per la detenzione al di fuori dei confini nazionali di attività finanziarie e patrimoniali in genere, hanno determinato nel tempo un consistente accumulo di beni e diritti situati all’estero, ma riconducibili a soggetti fiscalmente residenti in Italia.

Di questi asset, una parte consistente è legata alle imprese italiane e alle iniziative imprenditoriali in genere poste in essere in Stati esteri da soggetti italiani.

I patrimoni all’estero degli italiani: premessa

Riguardo a questa macro area di patrimoni italiani, gli ordinamenti (non solo tributari) nostrani e stranieri hanno via via posto in essere specifiche disposizioni volte a favorirne un’ampia e pur specifica e dettagliata regolamentazione.

Invece, la parte – pure assai significativa in termini di valore – di patrimoni italiani all’estero che recano impresso come scopo diretto e specifico la preservazione, conservazione e l’accumulo  in modo funzionale alle esigenze vitali delle persone fisiche,  legate o meno da vincoli familiari, ha storicamente registrato negli ordinamenti tributari nazionali e transnazionali atteggiamenti di più ampia tolleranza delle libertà di movimento e di detenzione anche riservata e anonima. È noto che in ambito internazionale, tale atteggiamento normativo si è storicamente espresso finanche con le varie forme e gradazioni di “segreto bancario” e gli istituti dedicati più in generale alla protezione patrimoniale. E in tale ambito anche le ragioni tributarie di assoggettamento a tassazione delle ricchezze private da parte degli Stati sovrani, avevano osservato dei limiti alle azioni di prelievo fiscale.

Più di recente invece, su questo stesso fronte, un quadro e un complesso di indirizzi politici sovranazionali più inclini a considerare le priorità di osservazione e di controllo nella detenzione dei patrimoni privati, ma anche esigenze primarie di risanamento dei bilanci dei vari Stati e di intervento con forme di prelievo tali da  assicurare il necessario travaso di ricchezza dalla sfera privata a quella pubblica, han fatto si che mutassero alcuni essenziali paradigmi.  A un livello più operativo, in questa corrente, si sono distinti e vanno menzionati i vari provvedimenti nazionali a carattere straordinario di “rimpatrio” e altresì “regolarizzazione” dei patrimoni italiani all’estero susseguitisi in Italia negli anni 2001/03 (scudo fiscale 1, 2) e 2009/10 (scudo fiscale 3, 4).

A consuntivo, si può affermare che il successo di tale misure sia stato evidentemente parziale, se si assume come parametro l’entità consistente dei patrimoni italiani che tutt’ora albergano all’estero senza manifestarsi all’amministrazione finanziaria italiana.

Perciò, più di recente, anche in Italia il legislatore è tornato su questo fronte,  intervenendo con misure straordinarie e temporalmente limitate di  “voluntary disclosure”, adoperando metodi di migliore concertazione e armonizzazione nel rispetto di analoghi modelli già  posti in essere da altri paesi (Usa, Germania, ecc.).

Le nuove politiche di collaborazione in materia fiscale tra l’Italia e i paesi stranieri

Gli sviluppi normativi degli ultimi anni hanno dimostrato come specialmente in   Italia il legislatore tributario abbia inteso predisporre un sistema di regole nuove di più efficace osservazione e più accurato controllo sia ex ante che ex post (monitoraggio) dei redditi degli italiani ovunque prodotti e dei patrimoni degli italiani ovunque accumulati. Ciò anche in concomitanza con l’adozione di strumenti di tassazione aggiornati e per certi versi del tutto innovativi (Tobin Tax, etc.) persino rispetto alle norme costituzionali vigenti. In tal senso, i provvedimenti straordinari e sia pur reiterati di “scudo fiscale” degli anni ultimi passati, per i redditi e i patrimoni sin li risultati localizzati al di fuori dei confini nazionali, hanno voluto segnare una netta demarcazione tra quanto si ispirava alle vecchie politiche fiscali e quanto invece ormai ricade sotto un sistema di prelievo improntato ai nuovi indirizzi.

Al più moderno impianto di norme sta recando un consistente contributo l’insieme dei vari trattati bilaterali e multilaterali tra l’Italia e gli Stati e organismi sovranazionali stranieri che si possono sin qui schematizzare come segue, a seconda della tipologia e delle principali caratteristiche evidenziate:

  • Trattati multilaterali che prevedono lo scambio automatico di informazioni tra l’Amministrazione Finanziaria Italiana e quelle dei diversi paesi aderenti agli accordi, quali ad esempio quelli presenti:
  • in ambito OCSE, efficace a partire dal 1° gennaio 2016, il sistema cosiddetto Common Reporting Standard. Introduce strumenti che consentiranno all’amministrazione finanziaria italiana di ricevere automaticamente e con cadenza temporale prestabilita dati e informazioni concernenti soggetti italiani con patrimoni finanziari presso altri paesi Ocse aderenti al trattato e ritenuti rilevanti per il prelievo fiscale in Italia[1]. Ad esempio, l’Amministrazione Finanziaria italiana sarà in grado di ricevere annualmente in modo automatico, dalle corrispondenti autorità estere di tutti gli altri paesi aderenti, informazioni relative ai contribuenti italiani aventi posizioni patrimoniali in quei paesi (nominativo, dati anagrafici, indirizzo, tax identification number, numero di conto corrente, saldo della posizione finanziaria, dati identificativi della società nel caso di soggetti giuridici insieme ad altre informazioni su dividendi, interessi, ricavi, etc.). Si basa sul modello Fatca Usa, ma con alcune peculiarità.
  • Trattati bilaterali
  • contro la doppia imposizione sui redditi (art. 26) Norme specifiche all’interno di questi trattati disciplinano lo scambio di informazioni tra l’Italia e il paese straniero di volta in volta interessato. Tale scambio di informazioni avviene su richiesta da parte degli organi competenti dell’amministrazione finanziaria e tende a perseguire finalità di contrasto all’evasione fiscale e di supporto nelle azioni di recupero dei crediti tributari[2];
  • FATCA in vigore con gli USA (in realtà trattasi di un accordo “multilaterale” in vigore tra gli Usa e vari altri paesi tra cui l’Italia). Prevede lo scambio automatico e continuativo di informazioni tra Italia e Usa[3].

Si può dunque affermare, alla luce del quadro pur parziale e riassuntivo suesposto, che la predisposizione e l’affinamento di più moderni ed efficaci strumenti di acquisizione e scambio di dati e informazioni di rilevanza fiscale in ambito internazionale consente già oggi di fatto all’Amministrazione Finanziaria italiana:

  • di compiere più agevolmente e secondo procedure e modalità più snelle ed efficaci, le attività di verifica e controllo ex post sugli adempimenti dei contribuenti italiani con redditi e patrimoni all’estero;
  • di poter svolgere altresì, laddove necessario in via preventiva un’azione di osservazione e monitoraggio sulla posizione dei singoli contribuenti italiani, grazie alla disponibilità in forma sempre più ampia e approfondita di elementi utili per un’azione di contrasto all’evasione fiscale e all’occultamento di redditi e di patrimoni all’estero.

In questa prospettiva si inseriscono dunque – come si dirà oltre –  le più recenti disposizioni sul controllo (“monitoraggio fiscale”), anche per il tramite di un intermediario finanziario, dei patrimoni italiani all’estero e delle attività estere di qualsivoglia natura degli italiani.

Le nuove  regole di monitoraggio fiscale dei patrimoni italiani all’estero e delle attività estere in Italia poste al di fuori del circuito degli intermediari: il nuovo quadro RW

A decorrere dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta 2013 i contribuenti italiani obbligati sono tenuti ad applicare le nuove disposizioni concernenti il monitoraggio fiscale dei patrimoni italiani all’estero e delle altre attività estere che pur collocate in Italia si trovano al di fuori del circuito degli intermediari finanziari italiani[4].

E’ bene intanto sapere che le modifiche apportate alla disciplina del monitoraggio fiscale attingono all’impianto normativo dell’antiriciclaggio e le nuove disposizioni[5] appaiono in tal modo orientate a rafforzare le attività di contrasto alle frodi internazionali attuate mediante l’illecito trasferimento e/o detenzione all’estero di attività produttive di reddito.

Nella dichiarazione annuale dei redditi, i contribuenti dovranno continuare a indicare le attività estere di natura finanziaria e gli investimenti all’estero detenuti nel periodo d’imposta, attraverso cui possono essere conseguiti redditi imponibili in Italia.  In generale, fatte salve le eccezioni di cui si dirà, i nuovi adempimenti si impongono a prescindere dall’importo di siffatti patrimoni posseduti nell’anno solare di volta in volta considerato. La compilazione del nuovo quadro RW deve essere ora effettuata:

  • per indicare la consistenza (o meglio l’esistenza) delle attività finanziarie e patrimoniali detenute all’estero nel periodo d’imposta di riferimento (monitoraggio fiscale vero e proprio);
  • ma anche, in taluni casi, per indicare dati ed elementi necessari ai fini dell’applicazione dell’imposta sul valore delle attività finanziarie all’estero (Ivafe)[6].

Anche l’ambito dei soggetti interessati si è modificato significativamente rispetto al quadro normativo preesistente. Infatti, pur con le precisazioni che si vedranno infra, i nuovi obblighi sono da considerarsi a carico non soltanto del possessore diretto degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria, ma anche dei soggetti che, sulla base delle disposizioni vigenti in materia di antiriciclaggio, risultino essere i titolari effettivi dei predetti beni.

Rispetto al passato, alcune semplificazioni riguardano la soppressione dell’obbligo di dichiarare i trasferimenti da, verso e sull’estero che nel corso del periodo d’imposta hanno interessato gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria. Inoltre, è stato soppresso l’obbligo di monitoraggio dei trasferimenti transfrontalieri effettuati per cause diverse dagli investimenti esteri e dalle attività estere di natura finanziaria che andavano indicati nella Sezione I del quadro RW.

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[1]  Il modello standard per l’attuazione di tale accordo è stato pubblicato dall’Ocse il 13 febbraio 2014 e sembra riprendere lo schema del Fatca Usa ma con alcune significative peculiarità. Tra queste ultime, quella che impone a ogni cliente di banche e intermediari finanziari (anche compagnie di assicurazione, sim, sgr, etc.) di autocertificare la propria residenza fiscale e all’intermediario stesso di compiere una due diligence per l’identificazione del cliente, in assenza di soglie minime per tale adempimento.  Lo standard prevede anche uno schema di accordo contrattuale (CAA o Competent Authority Agreement) da formalizzarsi e sottoscriversi dalle autorità competenti al fine di tracciare le modalità di scambio automatico delle informazioni e la tipologia delle informazioni anagrafiche e finanziarie.
[2] E’ bene tener presente che risultano in essere – tra gli altri –  accordi-convenzione (DTC o Double Tax Convention) tra l’Italia e i seguenti paesi: Hong Kong, Mauritius, Panama, Singapore, San Marino.
[3] L’accordo è stato introdotto già nel 2010, ma dal 1° luglio 2014 comporta operativamente l’obbligo per tutti gli intermediari di Italia, Francia, Germania, Regno Unito, Spagna di comunicare agli USA dati e informazioni specifiche riferite agli assets detenuti presso di loro da cittadini Usa. Il modello siffatto costituisce il riferimento per uno schema di intesa che invece,  a partire  dal 2016, permetterà analogo scambio di dati e informazioni tra tutti i paesi Ocse.
[4] L’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990 nel testo riformulato conferma l’ambito soggettivo dei contribuenti obbligati, imponendogli di indicare nella dichiarazione annuale dei redditi gli investimenti all’estero e le attività estere di natura finanziaria suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia
[5] La legge 6 agosto 2013, n. 97, recante le “Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013” (di seguito, “legge europea 2013”) risponde alla necessità di adempiere ad obblighi comunitari per i quali la Commissione europea, nel quadro del sistema EU Pilot, ha dato avvio nei confronti dello Stato italiano a casi di “pre-infrazioni”, nonché a procedure di infrazione. E’ stato emanato il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 dicembre 2013 (di seguito, provvedimento del Direttore) previsto dal nuovo comma 4 dell’articolo 4 del citato decreto legge n. 167 del 1990, che ha, tra l’altro, disciplinato ex novo i contenuti della dichiarazione annuale dei redditi da predisporre, a decorrere dal periodo d’imposta 2013, per assolvere gli obblighi di monitoraggio fiscale.
[6]  Cfr. infra  nel paragrafo dedicato all’Ivafe, in questo stesso capitolo. In precedenza, il quadro di riferimento in dichiarazione-modello Unico era il quadro RM.
24/06/2020 | Categorie: Consulenza Patrimoniale Firma: Fabrizio Vedana