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Non è tutto green ciò che luccica: greenwashing e sostenibilità ingannevole

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Molte realtà aziendali hanno scelto di investire su sostenibilità e investimenti green. Tuttavia, c’è il rischio di cadere in azioni di greenwashing

All’indomani dalla conclusione della COP26, l’evento mondiale che ha coinvolto le maggiori potenze mondiali su questioni e decisioni riguardanti il cambiamento climatico e la salvaguardia del nostro pianeta, risulta palese come le tematiche sulla sostenibilità, gli investimenti ESG e i cosiddetti SDG (Sustainable Development Goals) siano ormai tra gli obiettivi primari delle scelte governative e manageriali di Nazioni e imprese.

Sono molte le realtà aziendali che hanno scelto consapevolmente di impostare i loro asset su investimenti sostenibili e materiali green o che sono attivamente impegnate in questioni ambientali; tuttavia, il rischio di cadere in azioni di greenwashing e di comunicazione ingannevole è sempre dietro l’angolo.

Cos’è il fenomeno del greenwashing e come impatta sul fronte della sostenibilità per brand e aziende

Per greenwashing si intende quel fenomeno che coinvolge i brand che usano campagne e messaggi pubblicitari o in qualche caso persino iniziative di responsabilità sociale per coprire l’impatto ambientale – per lo più negativo – delle proprie attività o dei propri prodotti.

Il tutto viene fatto dalle aziende con lo scopo di conquistare il favore dei consumatori che negli ultimi anni si mostrano sempre più sensibili alle tematiche della sostenibilità e agli acquisti green a basso impatto ambientale. Basta infatti studiare le loro abitudini di spesa per rendersi conto che il criterio economico non è più l’unica o la principale discriminante.

La sostenibilità ha investito anche il mondo della finanza e dell’asset management dove si cerca sempre più di puntare ad investire in aziende i cui processi produttivi siano eco-friendly, che abbiano all’attivo iniziative di CSR o che facciano dei principi e degli investimenti ESG i loro focus manageriali predominanti.

Sostenibilità ingannevole? Il caso di Gorizia e le accuse di greenwashing

In questo clima di forte salvaguardia ambientale e anche di comunicazione promozionale nei confronti di politiche e iniziative aziendali di sostenibilità, colpisce la recente ordinanza cautelare del Tribunale di Gorizia contro un’azienda friulana accusata di pubblicità e comunicazione ingannevole.

La segnalazione sembra sia arrivata da un competitor dell’impresa, specializzata in commercializzazione di materiali sintetici per il settore automotive e moda, che sembra abbia rilevato come negli ultimi mesi la concorrente avesse utilizzato messaggi pubblicitari molto impattanti su tematiche ambientali e di sostenibilità, proponendo – di fatto – prodotti inquinanti.

La sentenza del Tribunale di Gorizia ha concretamente fatto giurisprudenza in quanto, attualmente, sulle questioni di corporate social responsability legate alla sostenibilità c’è un certo vuoto normativo o, perlomeno, una mancanza di regole valide a livello internazionale. L’episodio, che ha coinvolto l’azienda friulana, ha quindi dato la possibilità al legislatore di iniziare regolamentare la questione da un punto di vista giuridico.

L’episodio di Gorizia come punto di partenza per una maggiore regolamentazione giuridica in tema di dichiarazioni di sostenibilità

In merito all’ordinanza cautelare – che ha comportato per l’azienda friulana l’obbligo di rimuovere i claim sotto accusa e di pubblicizzare l’ordinanza sia sul suo sito sia attraverso una comunicazione diretta ai clienti – il giudice di Gorizia ha quindi sancito che d’ora in poi: “le dichiarazioni ambientali verdi debbano essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile”.

Soprattutto in un momento storico in cui la sensibilità verso le tematiche inerenti alla sostenibilità e ai problemi ambientali è molto elevata, le virtù ecologiche e le iniziative di salvaguardia ambientale promosse e decantate da imprese o da brand legati ad un prodotto possono fortemente influenzare le scelte d’acquisto dei consumatori e, in ambito finanziario, le scelte degli investitori.

Sostenibilità e greenwashing: come si comportano le aziende “peccatrici”?

Sono tanti i modi in cui le aziende possono (consapevolmente o meno) “peccare” di greenwashing. Tra le tante azioni scorrette possiamo menzionare, ad esempio:

  • Utilizzare immagini suggestive o con soggetti naturali per la pubblicità oppure dei packaging con prevalenza di tonalità di verde che evocano un certo impegno del brand e del prodotto verso le questioni di sostenibilità ambientale.

  • Basare i propri slogan pubblicitari su un linguaggio vago e approssimato, seppur di stampo ambientalista, che rischiano di essere fraintesi dai consumatori finali. O, al contrario, utilizzare una terminologia tecnico-specialistica comprensibile solo ad un’audience di specialisti.

Sostenibilità, greenwashing e investimenti green: come possono agire le aziende virtuose per un futuro sostenibile

È importante sottolineare che episodi di greenwashing come questo che ha coinvolto l’impresa friulana non solo rischiano di mettere a repentaglio la fiducia del cliente verso l’azienda, creano situazioni di concorrenza sleale e danneggiano le aziende più virtuose, ma producono anche dei danni strettamente finanziari.

Gli investimenti in sostenibilità – declinati come obbligazioni green – a fine 2021 potrebbero superare, infatti, i mille miliardi di dollari: una cospicua massa di risorse a cui le aziende possono attingere. Ecco perché risulta prioritario eliminare ogni minaccia di greenwashing e il recente caso di giurisprudenza citato può essere ufficialmente considerato come primo fondamentale case history in tema greenwashing.

L’obiettivo futuro per le aziende virtuose e fautrici di scelte e investimenti sostenibili è quindi quello di impegnarsi in una maggiore chiarezza e trasparenza non solo nella definizione dell’entità e della portata del proprio impegno di sostenibilità ambientale, ma anche nelle proprie scelte linguistiche e di comunicazione.

14/12/2021 | Categorie: Economia e Dintorni , Il caso della settimana , Senza categoria Firma: Giulia Panebianco