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Emozioni vs. comportamenti

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Una riflessione sul modo in cui la finanza comportamentale può intersecarsi e tornare utile al mondo della consulenza finanziaria. Ragionando sul perenne conflitto tra emozioni e comportamenti.

Spesso nelle interviste mi chiedono come la finanza comportamentale può aiutare i consulenti finanziari a gestire le emozioni dei clienti. Questa domanda mi ha sempre messo un po’ in imbarazzo. I motivi sono i seguenti e sono cambiati nel corso degli anni.

Mi occupo di finanza comportamentale da quasi 17 anni (era il settembre 2002, il mese prima del Nobel a Kahneman) e per anni non ho avuto una risposta reale, di qui l’imbarazzo iniziale nel rispondere alla domanda.

L’altro motivo di imbarazzo era l’equivoco di fondo su cosa fosse realmente la finanza comportamentale e di cosa si occupasse.

Molti al tempo credevano – e molti lo credono ancora – che la finanza comportamentale fosse “quella cosa che serve a gestire l’emotività dei clienti”.

Peccato che non sia così perché certamente si occupa anche degli errori emotivi degli individui, ma ha studiato, analizzato e cercato di dare soluzioni soprattutto agli errori cognitivi, quelli cioè che pertengono il modo di elaborare le informazioni e prendere scelte.

Per quanto riguarda invece gli errori cognitivi, inizialmente l’approccio comportamentale diceva ben poco, a parte che erano difficili da correggere, ben più di quelli cognitivi, in quanto legati ai meccanismi più ancestrali del nostro cervello affettivo-emotivo, chiamato da Kahneman e altri il “sistema 1” in quanto più arcaico rispetto al sistema 2, cognitivo-razionale.

Richard Thaler e il Nudge

Poi è successo qualcosa, un signore di nome Richard Thaler si è inventato una cosa che ha ribattezzato Nudge, tradotto malamente in italiano con “la spinta gentile”, ma “spintarella” suonava ancora peggio in italiano per un concetto che significa appunto una piccola spinta, un pungolo.

“Ribattezzato” perché inizialmente per il concetto di nudge aveva coniato i termini “paternalismo libertario”, un apparente ossimoro che però conteneva al suo interno il termine “paternalismi” che agli americani, si sa, non piace molto.

Il nudge gli è valso il Nobel nel 2017 – meritato per tanti altri studi effettuati nel corso della sua carriera – e il motivo di tale attribuzione è l’influenza che ha avuto sulla vita “reale” di migliaia di persone.

Il nudge ha introdotto un altro elemento di rottura che ha provocato il passaggio dalla finanza comportamentale 1.0 – quella di Kahneman per intenderci – cioè in sostanza una lista di distorsioni (bias), euristiche, effetti di incorniciamento (framing), senza però indicazioni sostanziali su come attenuare i loro effetti negativi. Senza nulla togliere a Kahneman e al compianto Tversky per i loro studi geniali che hanno fatto nascere l’economia comportamentale.

Il nudge ha segnato invece il passaggio alla finanza comportamentale 2.0 o “in azione” come l’ha definita un altro co-autore di Thaler, quello Shlomo Benartzi, che insieme a lui ha inventato il piano SMART (Save More Tomorrow), rivoluzionando di fatto l’approccio alla previdenza complementare delle aziende che l’hanno sposato.

Cosa c’entra tutto questo con il titolo (“Emozioni vs. comportamenti”)? Semplice. C’è un unico modo realmente efficace per gestire le emozioni, ed è quello di avere un metodo!

Lo so, qualcuno si sta chiedendo “e gli hanno pure dato il Nobel?”, beh, sì, glielo hanno dato ed è uno dei più meritati nella storia dei Nobel per l’economia. Lo sappiamo da sempre che serve un metodo per investire, ma quanti ce l’hanno? Quanti lo utilizzano realmente? Temo molto pochi. Pochi in generale e ancora meno, anche tra quei pochi, riescono a continuare a utilizzare quando i mercati cominciano a ballare, quando arrivano le emozioni.

Ecco l’importanza del nudge, utilizzare a proprio favore comportamenti che in altre situazioni potrebbero essere deleteri, come la procrastinazione, ma anche capire che è necessario auto-spingersi per prendere migliori decisioni finanziarie (“nudge yourself for better financial decisions”.

Ecco l’altro motivo di imbarazzo quando mi chiedono cosa può fare la finanza comportamentale per gestire le emozioni: la semplicità della risposta e la consapevolezza che il mio interlocutore potrebbe non comprenderla e invece percepirla come banale, scontata.

Gestire il comportamento e le emozioni degli investitori

Investire è semplice, ma non è facile. È semplice da un punto di vista “tecnico”, lo fa anche uno stupido robo advisor, è una banale ottimizzazione che mira a minimizzare il rischio di portafoglio, à la Markowitz – roba del 1952! – o al limite à la Black e Litterman (anni Novanta).

La cosa difficile è la gestione delle emozioni, oltre a tutta una serie di comportamenti sbagliati, anche dovuti a distorsioni cognitive studiate in profondità dalla finanza comportamentale. Questo è il vero punto da affrontare, da entrambi i lati della barricata, consulenti e clienti.

Lato clienti-investitori si parla tanto della necessità di educazione finanziaria perché il livello di cultura finanziaria è così bassa in Italia. Il problema è che al di là di far comprende i concetti di base (la diversificazione, l’effetto dell’inflazione, l’interesse composto) bisogna insegnare quello che conta davvero – ogni riferimento al portale governativo che ritengo una lodevole iniziativa è puramente casuale – cioè quello che gli investitori possono controllare: il loro comportamento.

L’anno scorso mio padre è stato operato all’anca. Prima dell’operazione è andato dal chirurgo e gli ha fatto una domanda intelligente: “Professore, cosa posso fare per prepararmi all’intervento?”. Non gli ha chiesto che tecnica avrebbe utilizzato, era l’altro il chirurgo, non mio padre. Gli ha chiesto l’unica cosa davvero intelligente che poteva chiedergli: cosa posso fare io?

Questa domanda è la stessa che dovrebbero fare i clienti ai loro consulenti finanziari, cioè “come mi posso comportare per investire al meglio?”, non: quanto mi dai, quanto mi rende, cosa farà il dollaro, il petrolio, Trump, Theresa May.. Queste domande sono inutili per due ragioni.

Prima, il consulente finanziario non fa l’astrologo! Secondo, sono tutte variabili al di fuori del controllo sia del cliente che del consulente!!

Un caro amico mi ha presentato tempo fa un suo amico che lui chiama “il Grande Romani”, che mi ha distillato la seguente perle di saggezza – non so se è veramente sua o di qualche storico capo indiano o di Osho.. – “se una cosa la puoi controllare non preoccuparti perché la puoi gestire. Se una cosa non la puoi controllare, a maggior ragione non preoccuparti perché tanto non ci puoi fare niente!”.

La logica è esattamente quella e il messaggio è chiaro: preoccupati, anzi pre-occupati (cioè occupati prima) delle cose che puoi controllare. Negli investimenti queste cose sono i tuoi comportamenti. As simple as it is!

La vera educazione finanziaria, o almeno parte di essa, dovrebbe insegnare agli investitori come gestire i propri comportamenti e le proprie emozioni, con metodo.

Può sapere che l’interesse composto è l’ottava meraviglia del mondo (come affermò Einstein), ma se ti prendi paura al primo scossone di mercato non investirai mai sui mercati azionari! Puoi capire che l’inflazione erode il potere d’acquisto, ma è bassa e a breve termine sembra poca cosa, e comunque hai paura di sbagliare e tieni i soldi in conto corrente. Puoi pensare di diversificare investendo in più banche, ma se investi in tutte le banche in obbligazioni subordinate delle banche stesse non hai diversificato un bel niente!

Iniziamo a spiegare che se invece investi in fondi comuni di investimento i tuoi soldi non li ha la banca, ma la società di gestione, e che se anche fallisce la tua banca i tuoi soldi sono al sicuro. Iniziamo a far capire alle persone che devono avere la pensione integrativa perché devono mettere da parte soldi per quando saranno in pensione, perché quella pubblica sarà sempre più bassa e arriverà sempre più tardi, ma facciamolo facendo capire la dimensione del problema, che non è percepito.

Usiamo l’inflazione per fare capire le cose importanti, per esempio che con un tasso medio storico di inflazione del 2,5% in circa 30 anni raddoppia il costo della vita (o si dimezza il potere d’acquisto). Con esempi semplici.

Hai 40 anni e vuoi mantenere il tuo tenore di vita che oggi ti consentono 2.000 euro al mese di stipendio, beh con un’inflazione del 2,5% tra 30 anni ne devi avere 4.000 di pensione. 4×12 (mesi) fanno 48.000 euro l’anno, arrotondiamo a 50.000, a 70 anni con un’aspettativa di vita di 20 anni fa 1 milione di euro! O li hai, o li devi mettere da parte per quando arrivi alla pensione, altrimenti ti sogni il tuo tenore di vita odierno da 2.000 euro al mese.

La lista di come insegnare a cosa servono davvero i concetti di base di educazione finanziaria è lunga, ma non mi dilungo.

Altrettanto lunga è la lista di cosa si può insegnare in termini di comportamenti da seguire e da non percorrere, ma quelli di base sono pochi, e basterebbero quelli.

Ultima nota, bisogna vedere come si insegnano le cose. Io sono un professore universitario e posso scrivere e spiegare concetti in maniera aulica, complicata, appunto “accademica”, ma lo sforzo che ho fatto da quando insegno (ormai vent’anni) è quello di semplificare. Se vuoi far capire le cose alle persone, rendile semplici. Se vuoi che cambino i loro comportamenti – questo è uno degli insegnamenti principali di Thaler – offri loro la strada più semplice! Solo così cambieranno i loro comportamenti, se offri loro modi semplici di sostituirli con altri comportamenti più virtuosi.

L’intervento del consulente

Lato consulenti. Anche qui la questione è facile, non semplice, e parte da una domanda: cosa fa il consulente? Ognuno ha la propria risposta, la mia è molto semplice e parte da cosa non fa: non prevede i mercati e non mi dice cosa farà il petrolio, o il dollaro, o Trump o Theresa May. Mai glielo chiederei, ma gli sorriderei in caso fosse lui – anzi lei, perché la mia consulente è una donna – a provare a fare previsioni di questo tipo.

Il consulente, a mio modo di vedere, dovrebbe fare altro e non parlo di aiutarmi a diversificare bene il mio portafoglio, quello certo, ma è la cosa più banale da fare, ormai è una commodity, piuttosto dovrebbe fare tre cose: pianificazione in base ai miei obiettivi di vita, ottimizzazione fiscale, e quello che in gergo viene chiamato behavioral coaching. Domanda ai clienti: i vostri consulenti fanno queste tre cose? Domanda ai consulenti: fate queste tre cose?

Partiamo dalle prime due. Anzi, dalla prima. Pianificazione finanziaria in base agli obiettivi di vita.

Chi la fa davvero? Qualcuno la fa, ma è dispendiosa in termini di tempo e servono le competenze per farlo che sono molto più difficili da acquisire rispetto a sapere diversificare un portafoglio.

Ottimizzazione fiscale. Anche qui in quanti la fanno? E anche qui, meno banale, a parte le questioni di base, servono competenze specifiche.

La terza, coaching comportamentale. Innanzitutto cos’è? In soldoni significa aiutare il cliente a gestire le sue emozioni e correggere gli errori comportamentali o quanto meno i loro effetti negativi.

Da un recente studio di Vanguard sembra che in media un consulente finanziario sia in grado di offrire al proprio cliente un extra-rendimento fino al 3% in più di quanto potrebbe fare da solo. Bene, la metà di questo extra-rendimento (l’1,5%) è dovuto al coaching comportamentale. In realtà, penso che l’effetto sia pesantemente sottostimato.

Mi spiego, il momento è delicato. I prossimi rendiconti espliciteranno non solo in percentuale, ma anche in valore assoluto il “costo” della consulenza. Pagare un 2% sembra poco in termini percentuali, ma se hai un patrimonio da 10 milioni di euro fanno 200.000 euro all’anno. In 5 anni fa 1 milione di euro. Certo, sto parlando di clienti molto abbienti, ma proprio lì sta il problema. Qualcuno sarà tentato a fare da solo, e proprio qui sta il vero problema.

La finanza comportamentale ha proposto molti studi che mostrano, dati alla mano, come gli investitori, da soli, si facciano molto male. Per non pagare il 2% di commissioni potrebbero incassare perdite ben più elevate. È già successo nel Regno Unito dopo l’entrata in vigore della RDR, l’equivalente nella nostra MiFid II.

Il momento è delicato e i consulenti finanziari hanno un ruolo fondamentale per evitare che i loro clienti cerchino di fare da soli e si facciano molto male. Quindi il coaching comportamentale vale, almeno in questo particolare momento storico, molto di più dell’1,5% e se anche in generale valesse solo un punto e mezzo percentuale, beh, allora avremmo già quasi recuperato il costo medio della consulenza.

La MiFid II ha esplicitato il “costo” della consulenza, beh, è ora di esplicitare il costo della “non consulenza” e dunque il suo valore, ma è fondamentale che i clienti da un lato e i consulenti dall’altro siano d’accordo su cosa vuol dire per loro consulenza finanziaria. Ognuno avrà la sua risposta, la mia l’ho già data e riguarda, appunto, emozioni e comportamenti.

22/04/2020 | Categorie: Consulenza Finanziaria , Mondo consulenti Firma: Enrico Maria Cervellati