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Dossier mini-bond – Il contesto del mercato del capitale per le PMI

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La crisi del mondo finanziario prima, poi dell’economia reale, che ha colpito anche l’Italia a partire dal secondo semestre 2008 è stata definita come la peggiore dal secondo dopoguerra, sulla base dei dati contenuti nel Rapporto Cerved PMI 2014. La gravità della crisi è legata non solo alla riduzione del PIL, ma anche alla durata della stagnazione della domanda di beni e servizi e dalla difficoltà del ‘sistema Italia’ nel tornare a crescere. Nelle prossime pagine viene presentata una descrizione del contesto italiano da cui è sorto il nuovo mercato dei mini-bond. Ci si concentrerà in particolare sul mercato del credito e sulla situazione delle imprese di piccola e media dimensione.

Le difficoltà sui ricavi e sui margini
La stagnazione della domanda ha avuto effetti pesanti sul volume d’affari delle imprese italiane, sul margine lordo e sulla redditività. Dal 2007 al 2013 le PMI italiane hanno subito una riduzione di fatturato di 5,6 punti percentuali (in termini nominali), mentre le grandi imprese sono riuscite ad aumentare il giro d’affari di 1,7 punti percentuali (sempre in termini nominali)1. I settori che hanno subito maggiormente gli effetti della crisi sono quello delle costruzioni, con un calo del volume d’affari pari a -23,9% e quello manifatturiero con un calo pari a -8,2% dal 2007 al 2013. A fronte di una riduzione del valore aggiunto e della produttività (misurata come valore aggiunto per addetto), anche il margine operativo lordo delle imprese italiane ha subito un calo consistente (si veda la Figura 1.1). In particolare le PMI hanno registrato una diminuzione di 37,5 punti percentuali dal 2007 al 2013, mentre le grandi imprese hanno subito un calo più contenuto, pari a 22,9 punti percentuali. Considerando sempre il margine operativo lordo, i settori che evidenziano cali più significativi sono ancora una volta quello delle costruzioni (-53,8%) e il manifatturiero (-31,1%). Il settore dei servizi, pur mantenendo pressochè invariato il volume d’affari (-0,9%), ha subito una sensibile diminuzione del margine operativo lordo (-28,4%). La redditività operativa delle imprese italiane, misurata dall’indice return on assets (ROA, pari al rapporto tra margine operativo netto e totale dell’attivo di bilancio), ha pure subito una forte contrazione; anche in questo caso le imprese di piccola e media dimensione hanno sofferto più delle altre. L’indice ROA ha subito una contrazione di 2,2 punti percentuali per le PMI, mentre per le grandi imprese la riduzione è stata pari a 1,8 punti.

 
 
Un ‘terremoto’ così intenso su utili e margini ha determinato un marcato aumento delle imprese costrette alla liquidazione, o al fallimento, o all’apertura di una procedura concorsuale. Il rapporto Cerved PMI 2014 evidenzia comunque la presenza di ben 3.472 imprese che sono riuscite a raddoppiare il proprio volume d’affari fra il 2007 e il 2012.
 
Le difficoltà nella gestione finanziaria
Le imprese sopravvissute alla crisi hanno dovuto affrontare anche il problema della maggiore necessità di reperire risorse finanziarie. Analizzando i dati diffusi da Banca d’Italia sul rapporto tra il fabbisogno finanziario e gli investimenti fissi lordi delle imprese italiane fra il 2005 e il 2013 si nota una crescita di 9 punti percentuali. Questa crescita, combinata alla diminuzione della redditività operativa, testimonia una maggiore dipendenza dai finanziamenti esterni, soprattutto dal capitale di debito. In particolare se si considera il rapporto tra indebitamento finanziario e valore aggiunto per le imprese non finanziarie si nota un progressivo aumento, dal 151% del 2005 al 188% del primo semestre 2013 (si veda la Figura 1.2). Considerando la struttura finanziaria delle imprese italiane, a seguito della crisi si osserva un aumento significativo del grado di leverage (definito come rapporto fra debiti finanziari e totale del passivo a valore di mercato) dal 39,2% nel 2005 al 44,4% a fine 2013. Si tratta di un valore fra i più elevati in Europa2: la Francia si attesta al 30,2%, la Germania al 39,2%, il Regno Unito al 38,7%; la media nella zona Euro è pari al 38,9%. Il peggioramento degli indicatori di redditività e il progressivo aumento della leva finanziaria hanno generato un maggior peso degli oneri finanziari sul margine operativo lordo (dal 13,7% del 2005 si è passato al 22,7% del 2013) e la diminuzione del numero di imprese con utile d’esercizio positivo sul totale (dal 65% del 2005 al 55% del 2013).
 
 
Le difficoltà dell’accesso al credito bancario
I dati diffusi da Banca d’Italia mostrano che il flusso di credito dal sistema bancario verso le imprese italiane si è del tutto arrestato a seguito della crisi finanziaria (si veda la Figura 1.3). Ciò è dovuto sia alla contrazione della domanda di credito a lungo termine (che riflette una minore propensione delle imprese ad investire), sia alla minore offerta di credito. La necessità di credito a breve termine è invece aumentata, per i motivi citati in precedenza, ovvero la necessità di copertura del capitale circolante e delle operazioni volte a ristrutturare e consolidare il debito. Lo stock di credito bancario a favore delle imprese non finanziarie è passato da € 868,5 miliardi nel 2008 a € 808,4 miliardi a fine 2014. La Figura 1.3 evidenzia come nel 2008 ci sia stato un rallentamento della crescita del credito erogato (avvenuta negli anni precrisi), con un parziale recupero nel 2009; dal 2010 però è partita una fase negativa, che ha portato dal 2011 ad una continua riduzione dello stock di credito per tutti i periodi successivi. Per quanto riguarda il costo del capitale bancario, il differenziale di tassi rispetto alla media europea ha raggiunto il massimo valore nel 2013, pari a 0,9 punti percentuali3. Non serve sottolineare quanto l’incidenza di questo vero e proprio spread abbia contribuito a indebolire la competitività delle impresa italiane rispetto ai concorrenti europei. Il fenomeno del credit crunch ha colpito in modo eterogeneo l’universo delle imprese, concentrandosi in modo particolare su quelle più rischiose. Secondo il rapporto Cerved PMI 2014, nel 2012 le imprese nella fascia di rating C1.1-C2.1 (ovvero la peggiore) hanno subito una contrazione del credito disponibile di 4 punti percentuali, oltre il doppio di quella subita dalle imprese con rating B2.1-B2.2., a sua volta circa tre volte la contrazione relativa alla fascia A1.1-B1.2 (la migliore). Nell’anno 2013, però, la contrazione dei debiti bancari è stata omogenea, pari a circa 3 punti percentuali, per tutte le fasce di rating. A onor di cronaca va anche sottolineato che dal 2008 sono cresciuti linearmente i crediti in sofferenza. Le statistiche diffuse da Banca d’Italia evidenziano che a metà 2014 i prestici con anomalie nei rimborsi avevano superato il 25% del totale (di cui metà in sofferenza, un terzo incagliati, e la parte rimanente scaduta o ristrutturata). Di fronte alla necessità di adempiere a requisiti patrimoniali sempre più stringenti, a seguito delle norme scaturite dagli accordi di Basilea, e per evitare ulteriori peggioramenti della qualità degli attivi, il sistema bancario italiano ha nei fatti limitato la propria disponibilità a fornire nuovo credito, soprattutto nel lungo termine.
 

 
La raccolta attraverso il mercato obbligazionario
Negli ultimi anni le strategie di finanziamento dei grandi gruppi industriali – già avvezzi alla raccolta di capitale tramite il mercato mobiliare – si sono ancora di più orientate verso il debito obbligazionario.
 
Le motivazioni sono essenzialmente due: in primo luogo si è già sottolineato che il circuito bancario ha preferito ridurre la propria esposizione verso la clientela corporate; in secondo luogo le imprese hanno voluto approfittare della situazione di tassi di interesse e rendimenti richiesti dal mercato eccezionalmente bassi, vista la politica monetaria della Banca Centrale Europea, tesa a mantenere il costo del denaro a livelli prossimi a zero. Vi è anche da sottolineare che l’elevata volatilità del mercato borsistico, negli anni più ‘difficili’ della crisi, ha spinto investitori professionali e retail a preferire strumenti finanziari a minore rischio quali appunto i titoli obbligazionari. Come evidenzia la Figura 1.4 tra il 2010 e il 2013 le emissioni lorde di titoli mobiliari da parte delle società non bancarie italiane sono cresciute in misura cospicua rispetto al valore di € 23 miliardi registrato come media annuale nei cinque anni precedenti la crisi. Nel 2012 si è registrato un valore complessivo di emissioni obbligazionarie vicino a € 86 miliardi, mentre nel 2013 il controvalore è di poco inferiore a € 63 miliardi. Si noti che la raccolta di capitale obbligazionario al netto dei rimborsi è risultata positiva nei due anni citati, a ulteriore conferma che questo canale è andato a sostituirsi ad altre forme di finanziamento quali il credito bancario. Le PMI non hanno però potuto percorrere lo stesso cammino, non avendo le stesse possibilità di accesso al mercato mobiliare, almeno fino all’avvio delle riforme che hanno interesso il mondo dei mini-bond.
 
 
L’opportunità dei mini-bond
Il canale obbligazionario in Italia è storicamente un mercato minore rispetto al credito
bancario e copre (secondo i dati presentati nell’ultima relazione annuale di Banca d’Italia)
solo il 10% dei debiti finanziari complessivi delle imprese nazionali. Infatti le normative
fiscali e civilistiche, nonchè gli elevati costi fissi di emissione, hanno disincentivato
il ricorso a tale fonte di finanziamento soprattutto per le PMI. Ciò rappresenta un gap
rispetto all’Europa. Soffermandoci sulle imprese di piccola dimensione, le PMI italiane
che nel 2012 avevano ottenuto un prestito bancario mostravano un valore mediano del
rapporto tra debiti bancari e debiti finanziari pari al 98%. Si tratta di un dato significativamente
superiore rispetto a quelli degli altri principali Paesi europei4 (Germania 39,7%,
Francia 76,2%, Spagna 65,8%) e può rappresentare un rischio rispetto alla diversificazione
delle fonti finanziarie.
La Figura 1.5 mostra il confronto fra il cosiddetto mix funding delle imprese italiane
rispetto a quello degli altri principali Paesi europei e degli USA nel 2007 e nel 2012. Le
imprese italiane sono tra quelle che hanno fatto maggior ricorso al debito bancario (32%
nel 2007 e 35% nel 2012), seconde solo a quelle spagnole (34% nel 2007 e 40% nel 2012). Si
riconferma il basso utilizzo di strumenti obbligazionari: per le imprese italiane, nel 2012
questo canale rappresentava solo il 3% rispetto al valore complessivo dei finanziamenti.
 
 

  

04/03/2015 | Categorie: Imprese e Pir Firma: Redazione