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Consulenza: modelli a confronto

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La consulenza in materia di investimenti è da molti anni protagonista dei mutamenti legislativi italiani ed europei. Nel corso degli anni, infatti, il legislatore ha cambiato il proprio approccio nel qualificare il grado di rilevanza della consulenza nella relazione tra intermediario e cliente.

Con la MiFID II, la consulenza conferma il ruolo da protagonista e, nella sua duplice declinazione di consulenza indipendente e non indipendente, diviene driver relazionale tra intermediari e clienti, terreno di confronto tra i concorrenti e spunto di dibattito tra gli Stati Membri. Nel futuro prevarrà la consulenza indipendente o quella non indipendente, oppure, sarà il modello cosiddetto ibrido a dominare?

Nell’elenco dei servizi di investimento ce n’è uno che più degli altri racconta i frequenti cambiamenti legislativi che si sono succeduti negli ultimi anni in materia di intermediari finanziari: quello della consulenza.
Nel 1991, la legge n. 1 inserisce la “consulenza in materia di valori mobiliari” tra le attività riservate agli intermediari autorizzati, escludendone la prestazione “porta a porta” da parte dei promotori finanziari. Già cinque anni dopo, il legislatore cambia idea e con il decreto legislativo n. 415 del 1996 (Decreto EuroSim) il servizio di consulenza viene eliminato dal novero dei servizi di investimento e diviene dunque attività non più riservata ai soli intermediari finanziari. Nel 1998, la prima edizione del Testo Unico della Finanza confermerà tale esclusione. Dopo un lungo periodo di silenzio, il tema della consulenza in materia di investimenti approda sui tavoli della commissione europea che con la direttiva 2004/39/CE, ormai ben nota come direttiva MiFID, ricolloca il servizio di consulenza in materia di investimenti tra i servizi sottoposti a riserva e, pertanto, prestabili esclusivamente dagli intermediari finanziari e, nella trasposizione della MiFID in Italia, anche dalle società di gestione del risparmio.

Questo rapido excursus storico racconta come, curiosamente, il legislatore abbia cambiato il proprio approccio nel qualificare il grado di rilevanza della consulenza nella relazione tra intermediario e cliente, fino ad approdare alla valutazione, confermata anche nella MiFID II, che tale servizio può assumere un ruolo cruciale nelle scelte allocative degli investitori e, pertanto, presenta elementi di rilievo pari e, in alcuni casi, superiori rispetto ad altri servizi di investimento.

La MiFID non è solo il momento in cui la consulenza riacquista il valore di servizio riservato, ma anche quello in cui il contesto regolamentare ne connota chiaramente e puntualmente il contenuto, consentendo così di distinguere quella che comunemente viene indicata come consulenza ai sensi MiFID da un novero di attività a carattere consulenziale che il legislatore comunitario non ha ritenuto di includere nella riserva di attività. Vale la pena ricordare che perché si possa parlare di consulenza ai sensi MiFID è necessario che siano riscontrabili tutti i seguenti elementi:

– elemento della bilateralità: sia rivolto a un determinato soggetto, il cliente, a iniziativa del cliente stesso o per iniziative dell’intermediario;

– elemento della personalizzazione: si concretizzi nel rilascio di raccomandazioni formulate sulla base delle esigenze e del profilo del cliente;

– elemento oggettivo: il servizio deve avere a oggetto una o più operazioni relative a strumenti finanziari (si noti, non anche a servizi di investimento).

In assenza di anche solo di uno di questi elementi, l’attività prestata non è qualificabile come consulenza ai sensi MiFID e, pertanto, se da un lato non trovano applicazione i rilevanti vincoli di conformità previsti dal legislatore a tutela dell’investitore (informativa, rendicontazione, adeguatezza, conflitti di interesse, solo per citarne alcuni), dall’altro, si inseriscono per il potenziale prestatore importanti vincoli operativi (e remunerativi) affinché l’attività effettivamente prestata non presenti potenziali rischi di non conformità.

La (ri)qualifica della consulenza quale servizio di investimento attuata dalla MiFID ha avuto importanti risvolti per gli operatori italiani. In primo lungo, tutti i soggetti che prestavano un’attività di consulenza, poi qualificabile come servizio di investimento con l’avvento della MiFID, hanno dovuto letteralmente rincorrere le indicazioni del legislatore. Alcuni consulenti pre-MiFID intenzionati a proseguire nella prestazione della loro attività, pur in presenza di una prorogatio che, dato il nuovo contesto regolamentare, sembrava destinata a giungere presto a scadenza, hanno deciso di trasformarsi in Sim di consulenza, altri hanno deciso di approfittare del periodo di proroga in attesa che il quadro legislativo in materia di società di consulenza indipendenti risultasse completato. Il tempo sembra aver dato ragione ai secondi, visto che la prorogatio “breve” continua ancora oggi e che nulla ha nel frattempo imposto in merito all’indipendenza di coloro che già prestavano il servizio di consulenza prima dell’avvento della MiFID.

Il servizio di consulenza MiFID ha inoltre aperto ben presto il dibattito sulla possibilità che fosse ancora sostenibile che altri servizi di investimento, in particolare quello di collocamento, fossero prestati autonomamente oppure se fosse ineludibile che essi dovessero essere associati al servizio di consulenza MiFID. Il dubbio che prontamente è sorto è, sul piano pratico, che si potesse vendere qualcosa, senza consigliarla. La Consob ha risolto sul punto osservando che non si potesse escludere che le concrete modalità di prestazione del servizio di collocamento fossero tali da presentare (tutti) gli elementi della consulenza MiFID, pur confermando l’assenza di un vincolo normativo nell’abbinare i due servizi.

L’Autorità di Vigilanza ha di fatto spostato sull’intermediario l’onere di dimostrare che la condotta in sede di prestazione non concretizzasse, oltre il servizio di collocamento, anche quello di consulenza.
Dal dibattito sul punto, solo apparentemente teorico e interpretativo, è derivato che i modelli di business degli intermediari, soprattutto ove ispirati a consentire al cliente l’accesso anche a prodotti non captive o comunque a una gamma diversificata di strumenti finanziari, prevedano sempre la prestazione del servizio di collocamento congiuntamente al servizio di consulenza.

Sposando il punto di osservazione da ciò che è stato ai giorni nostri a quello che potrebbe essere il futuro, è doveroso riflettere sull’entrata in vigore della direttiva 2014/65/UE, meglio nota come MiFID II, avvenuta il 3 gennaio scorso e sugli effetti della nuova disciplina sul servizio di consulenza. La MiFID II, va subito precisato, lascia immutata la definizione di consulenza. Tuttavia ne evidenzia ulteriormente la rilevanza sulle scelte degli investitori e ciò attraverso l’introduzione di disposizioni e di oneri che quasi sempre accumunano tale servizio al servizio di gestione di portafogli. Nel suo ruolo revisionale, la MiFID II rafforza gli elementi che l’intermediario deve comunicare al cliente in relazione al servizio di consulenza prestato.

In questo senso è rilevante la distinzione che il legislatore europeo opera tra consulenza indipendente e consulenza non indipendente, dove per consulenza indipendente deve intendersi l’attività che vede realizzate contestualmente (a) l’assenza di incentivi da parte delle cosiddette società prodotto e (b) la valutazione di un’adeguata gamma di strumenti finanziari. In relazione alla gamma, il legislatore europeo ha inoltre prescritto che l’intermediario debba prevedere un processo di selezione allo scopo di confrontare e valutare una congrua gamma di strumenti finanziari presenti sul mercato in relazione ai parametri previsti dalle nuove disposizioni (a titolo esemplificativo, rappresentatività rispetto agli strumenti presenti sul mercato, numero e varietà di strumenti finanziari proporzionati all’ambito del servizio prestato) e, ulteriormente, che quando il modello operativo adottato dall’intermediario si concentra su certe categorie o una gamma specifica di strumenti finanziari esso rifletta le caratteristiche del target individuato di clientela (solo clienti interessati a tali categorie).

L’eventuale decisione di prestare il servizio di consulenza su base indipendente porta dunque con sé una serie di prescrizioni normative che assumono forte valenza sul piano operativo e organizzativo. Tornando al concetto di gamma, in particolare, deve evidenziarsi che la necessità di valutare una congrua gamma non richiede all’intermediario di valutare tutti gli strumenti finanziari presenti sul mercato, ma un numero significativo (rispetto, ad esempio, alla loro varietà), così come qualora la gamma comprenda strumenti finanziari collegati e/o in conflitto, la significatività della gamma deve essere valutata prescindendo da tali strumenti.

Ulteriormente, va ricordato che la prestazione della consulenza indipendente non consente la percezione di incentivi (inducements) dalla cosiddetta società prodotto, circostanza invece ancora ammessa in relazione alla prestazione di consulenza non indipendente, seppur al ricorso di determinate condizioni. Tale differenza merita una considerazione, anche a scopi predittivi.

In materia di remunerazione del servizio di consulenza, la MiFID II dimostra un approccio soft, esito della negoziazione tra i diversi Paesi aderenti all’Unione Europea. Difatti, mentre alcuni Stati membri avrebbero voluto che fosse prescritto che tale servizio fosse remunerato esclusivamente dal cliente (principio già attuato, ad esempio, nel Regno Unito con la disciplina che va sotto il nome di Retail distribution review), la MiFID II lascia aperta la porta a un flusso commissionale che l’intermediario può continuare a percepire direttamente dalle società prodotto e scontare, a fini di gestione dei conflitti di interesse, dalle commissioni applicate al cliente. La MiFID II, tuttavia, si ispira al rafforzamento della tutela del risparmiatore imponendo, in particolare, maggiore trasparenza sui costi dei servizi, imponendo che essi siano comunicati sia ex ante sia ex post, in termini percentuali e monetari. Viene dunque da chiedersi se nel futuro saranno ancora sostenibili modelli operativi – ancora ampliamente rappresentati sul mercato – di consulenza remunerata da soggetti diversi dal cliente o in forma mista.

Questo, in realtà, è una delle tante riflessioni che la MiFID II e la storia della consulenza, non a caso richiamata in apertura, pongono. L’attualità ci dice che con l’entrata in vigore della MiFID II gli intermediari hanno prevalentemente scelto di continuare a prestare il servizio di consulenza in maniera non indipendente, consapevoli che sul piano interpretativo e operativo sussistono ancora ampi spazi su cui far chiarezza. La sensazione diffusa è inoltre che l’investitore non sia ancora pronto a pagare il servizio di consulenza a un livello adeguato e, pertanto, tale attività risulta molto spesso utilizzata come strumento di avvio della relazione tra l’intermediario e l’investitore affinché possa evolvere in una relazione di diversa natura (tipicamente il servizio di gestione di portafogli).

In un futuro più prossimo, è plausibile che si rafforzi da parte degli intermediari l’interesse alla prestazione del servizio di consulenza indipendente – eventualmente in un modello di business cosiddetto ibrido – in affiancamento al servizio di consulenza non indipendente. Ciò per diverse ragioni.

In primo luogo l’avvio – prossimo? – dei consulenti indipendenti grazie all’attesissimo ingresso a regime del relativo albo, potrà rappresentare uno stimolo competitivo ad ampliare le modalità di prestazione del servizio. Inoltre, anche sotto la stretta dei media e della concorrenza, l’indipendenza sta assumendo un valore sempre più elevato nella percezione dell’investitore. Da ultimo, ma non ultimo, a livello europeo la pressione affinché prevalga il modello indipendente è sempre più elevata e potrebbe essere un tema per un ipotetico terzo atto della MiFID. Il futuro potrebbe offrire, dunque, una diversificazione importante dei modelli di business in relazione alla prestazione del servizio di consulenza, ma tale sfida non si giocherà solo sul piano della indipendenza o meno. Non trascurabile, come accennato in precedenza, che anche gli oneri di maggior trasparenza imposti dalla MiFID II accrescano l’interesse dei clienti a un servizio da parte degli intermediari diverso da quello del passato (e del presente).

Pertanto, anche qualora il modello di consulenza non indipendente prevalga, è indubbio che gli intermediari saranno interessati – e in molti casi già lo sono – da un processo di profonda riflessione sulle concrete modalità di prestazione del servizio e sulla relativa capacità di creare valore percepito per il cliente. Si apre dunque la sfida al futuro, alla capacità di attrarre e, soprattutto, trattenere il cliente cogliendo esigenze anche trasversali a quelle dell’investimento in strumenti finanziari (cosiddetta consulenza integrata) o dotandolo degli strumenti per comprendere la qualità del servizio offerto, della specializzazione messa al suo servizio. La storia della consulenza presenta, in definitiva, ancora tante pagine bianche, tutte da scrivere.

19/07/2020 | Categorie: Ruolo ed Efficacia , Senza categoria Firma: Nunzia Melaccio