NEWS

Consulenti, il rischio della deriva formativa

Immagine di anteprima

Intervista al nostro CEO Jonathan Figoli sul momento della formazione ai consulenti

La formazione dei consulenti finanziari rischia di ricoprire un ruolo sempre più marginale. È questo il messaggio lanciato da Jonathan Figoli, CEO di ProfessioneFinanza, in un’intervista incentrata sui modi di acquisire competenze indicati dall’alto a chi punta a proporsi al cliente con la massima preparazione e soprattutto con l’obiettivo di migliorarne la gestione patrimoniale suggerendogli le occasioni di investimento più appropriate in base al suo profilo.

Qual è la situazione della formazione ai consulenti? 

“Probabilmente parlo anche contro i miei interessi economici (visto che da società di formazione la creazione di un corso online costa significativamente meno della realizzazione di un percorso d’aula). Ma dopo aver visto una direttiva ESMA che parlava di “certificazione esterna delle competenze” (e aver ottenuto, al momento ancora come unica società in Italia, la certificazione UNI EN ISO per la valutazione delle competenze finanziarie e patrimoniali), sentito parlare di “certificazione interna” come sufficiente, visto un regolamento intermediari che richiedeva una “semplice” valutazione delle competenze (fra l’altro anche completamente slegata dalle 30 ore di formazione previste), e letto nelle ultime indicazioni fornite su come fosse possibile nel computo delle 30 ore equiparare nella valutazione dell’efficacia dei corsi la formazione d’aula con l’online con tanto di possibilità di farsi riconoscere come validi i corsi Ivass (quelli antiriciclaggio) e la presentazione dei nuovi prodotti fatti dai sales delle case di investimento (questi fra l’altro senza neppure il test di valutazione richiesto), vi chiedo di cuore di non cedere anche alla richiesta di eliminare il tempo minimo per la fruizione dei corsi di formazione”.

C’è quindi il rischio concreto di una deriva formativa?

“Già ora, il più delle volte, le piattaforme e-learning utilizzate vengono lasciate aperte durante lo svolgimento di altre mansioni ma arrivare addirittura ad eliminare il tempo minimo previsto per la fruizione dei corsi online (come esplicitamente richiesto da alcuni rappresentanti delle realtà bancarie) per il raggiungimento delle 30 ore mi porta a chiedermi che senso abbia. La formazione e lo sviluppo delle competenze consulenziali devono essere qualcosa da fare anche nei ritagli di tempo? Un qualcosa a cui il consulente deve pensare quando “non ha altro da fare”? E come si può sperare che una formazione fatta anche solo per 5 minuti possa portare un qualche beneficio? Fosse così la mia speranza è quella che almeno non siano più utilizzati i termini “formazione” e “certificazione” (non screditiamoli come avvenuto con la “consulenza”, che oggi può essere utilizzata anche nello svolgimento dell’offerta fuori sede del servizio di collocamento o anche quando, nel fare “consulenza”, vengono venduti prodotti della casa) e si possa usare un termine più corretto come “informazione”: cinque minuti sono il tempo giusto per informarsi (dal mio punto di vista in modo comunque superficiale) online ogni giorno sui temi che interessano maggiormente l’attività della consulenza. Fra l’altro i cinque minuti al giorno per un anno portano esattamente alle 30 ore”.

22/10/2018 | Categorie: Mondo consulenti Firma: Luca Losito