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CARRY TRADE: LA NUOVA BOLLA SPECULATIVA?

Dopo i subprime, i mutui ad alto rischio d’insolvenza che sono stati una delle cause della crisi americana, arriva il pericolo di una nuova bolla speculativa. Si tratta del carry trade, l’approvvigionamento di fondi in paesi con tassi d’interesse bassi per poi impiegarli in nazioni con alti tassi. Con l’espressione carry trade si fa riferimento ad una delle numerose strategie di investimento che è possibile porre in essere sui mercati finanziari internazionali. Esso consiste nel prendere a prestito capitali in una data valuta per investire gli stessi in strumenti finanziari (raramente in beni reali) denominati in altre valute e comunque con un rendimento superiore al costo del finanziamento. Il profitto che si ottiene è appunto pari alla differenza tra rendimento dell’investimento e costo del finanziamento. Affinché l’operazione di carry trade sia profittevole è necessario che le valute scelte godano di un rapporto pressoché stabile nel tempo e in particolare nel periodo che intercorre tra il momento in cui viene contratto il prestito e quello in cui viene restituito, altrimenti le perdite sul cambio assottiglierebbero i guadagni realizzati fino ad annullarli. L’investimento è solitamente rivolto a strumenti a basso rischio, come ad esempio i titoli di stato.  Negli ultimi tempi sul mercato delle valute si e’ assistito a decisi alti e bassi del dollaro. Quando i mercati azionari salgono il biglietto verde perde forza, principalmente contro l’euro, divenuta valuta di confronto. Mentre con mercati in difficolta’ la valuta Usa torna a recuperare terreno. Il fenomeno si e’ ripetuto in modo chiaro a fine ottobre. La valuta americana da inizio ottobre si e’ indebolita contro l’euro in modo rapido e deciso, passando in meno di un mese da 1,45 circa a 1,50 dollari circa. Una perdita di tale valori non e’ un fenomeno che si verifica troppo frequentemente specialmente se condensato nell’arco di tre settimane. Qual e’ stato il fattore scatenante che ha rafforzato l’euro, o e’ il dollaro che si e’ indebolito?  Se mettiamo a confronto l’andamento del cambio euro/dollaro e l’andamento degli indici azionari americani o europei (i secondi viaggiano di pari passo ai primi), ci accorgiamo che le Borse salgono in concomitanza della forza dell’euro.

E’ possibile trovare un legame che spieghi l’andamento parallelo tra prezzo dell’euro e prezzo delle azioni? I forti ribassi delle Borse di fine ottobre e l’improvviso recupero del dollaro contro l’euro sono fenomeni legati. Cio’ che li mette in relazione come spiegato in apertura di articolo si chiama carry trade. L’ondata di liquidita’ prodotta da tassi di interesse prossimi allo zero e politiche monetarie espansive, ha spinto gli investitori a cercare soluzioni con rendimenti interessanti, ovvero bond in euro, dove i tassi sono piu’ alti che in Usa, e titoli azionari. Gli investitori si indebitano a costo zero per guadagnare investendo in giro per il mondo. Ma che accade quando il gioco si rompe e le Borse iniziano a vacillare? Gli operatori vendono i titoli azionari o i bond nelle valute diverse dal dollaro, in genere euro, e riportano i capitali in zona riparata, ovvero sui titoli di stato Usa. Di fatto vendono azioni in euro e comprano dollari. Col risultato che il dollaro si rafforza e i mercati azionari scendono in ribasso. Non è un caso che l’oro abbia superato quota 1.100 dollari l’oncia, che il petrolio sia schizzato nuovamente sopra i 70 dollari al barile e che ci siano stati svariati rally di borsa sui titoli bancari. Allo stesso modo, non è un caso che il dollaro sia diventata la valuta più usata nelle pratiche di carry trade. La sua debolezza strutturale, unita alla politica di bassi tassi operata dalla Federal Reserve, ha permesso al biglietto verde di stabilizzarsi al ribasso come valuta, sospinta dalle aspettative degli investitori. Quest’ultimi si attendono, in gran parte in modo veritiero, che il quantitative easing della Fed sia la politica monetaria per i prossimi anni. Lo ha confermato anche il  Federal Open Market Committee (FOMC), l’organo decisionale della banca centrale statunitense. Ma questo cosa produce? Da una parte ci sono gli investitori, bruciati dalle bancarotte finanziarie e desiderosi di riequilibrare le proprie posizioni. Dall’altra la Fed che, per sostenere e rilanciare l’economia americana, sta vendendo denaro a costo zero e ha iniziato pratiche di riacquisto di asset tramite reverse repo (repurchase agreement). In pratica si tratta di aste pronti contro termine al contrario in cui la banca centrale vende a breve termine attività bancari per limitare liquidità in eccesso presente nel sistema. Tutte operazioni che non fanno altro che aumentare il rischio di un crack sistemico, questa volta partendo dal credito.

Per Roubini si sta creando «la madre di tutte le bolle mondiali dei prezzi delle attività con effetto leva». È stato facile affermare che Ben Bernanke, governatore della Fed, è stato l’esempio della lotta alla crisi finanziaria, come hanno fatto George W. Bush prima e Barack Obama dopo. Non va dimenticato però che ogni politica monetaria espansiva ha bisogno, prima o poi, di rientrare in modo equilibrato.
Tuttavia, anche se si iniziassero domani le exit strategy, il ritiro degli interventi a sostegno dei mercati, il carry trade sul dollaro è in uno stato troppo avanzato per frenare la bolla nata da marzo a oggi. E se si associa il rischio d’insolvenza intrinseco al mercato delle carte di credito mondiale, il prospetto dei pericoli che corre il mondo finanziario è completo. A quando il terremoto? Roubini avverte che ci sarà quando si sgonfierà la bolla del dollaro e quando inizieranno le sequele d’insolvenze dei risparmiatori americani. Osservando gli indicatori valutari e creditizi, difficile dargli torto.
Questa correlazione, negli ultimi mesi, e’ andata rafforzandosi, e non sembra ridursi. Ogniqualvolta i mercati azionari si riprendono, le materie prime salgono mentre il dollaro scende. E’ una correlazione che rende non facile il trading o le oscillazioni del mercato dei cambi, che invece, grazie alla maggiore liquidita’, sembrerebbe poter andare per conto suo ed invece si vive ancora questa fase legata probabilmente al fatto che non si e’ ancora usciti dalla crisi che attanaglia i mercati ormai da due anni. Nel momento della ripresa globale il mercato tornera’ a concentrarsi sui tassi di interesse e allora il mercato valutario e i carry trades torneranno ad essere protagonisti. Per il momento conviene limitarsi a vivere alla giornata. Tecnicamente viviamo una fase di assoluta incertezza e assenza di trend e le uniche domande da porsi sono relative all’eventualita’ che l’avversione al rischio possa aumentare e al fatto che i mercati azionari eventualmente in calo potrebbero avere conseguenze pesanti sui movimenti valutari da qui a breve. Prendiamo ad esempio il UsdJpy, sceso recentemente a causa della correzione significativa dei mercati azionari. Questa discesa ha segnalato la possibilita’ di una correzione rialzista anche grazie alla presenza di una possibile divergenza rialzista sullo stocastico veloce, mentre il trend rimane assolutamente ribassista nel medio con resistenze importanti comprese tra 93.70 e 94.00, difficili da essere violate, almeno per il momento. Conviene ancora provare il lato short anche se ci rendiamo conto della pericolosita’ dell’evento anche a causa del probabile fastidio che uno yen cosi’ forte causa nelle autorita’ monetarie giapponesi. Ma del resto, si sa anche che la Boj e’ restia ad accumulare ancora dollari per sostenere le esportazioni giapponesi nel mondo e indebolire lo Yen in quanto in portafoglio i dollari sono troppi in un mondo che chiede a gran voce l’utilizzo di una moneta di riserva internazionale diversa dal biglietto verde.
Dopo mesi di trend unidirezionale ormai è chiaro anche ai sassi: denaro facile, politiche di espansione quantitativa, ed espansione del credito hanno riportato prepotentemente il carry trade nelle strategie di tutti i principali player globali. In poche parole, sono stati venduti dollari per comprare (quasi) indistintamente qualunque asset rischioso a livello mondiale.
La settimana appena trascorsa è stata caratterizzata da un netto recupero del biglietto verde, parallelamente alle borse mondiali che hanno registrato in media un ribasso del 2% rispetto al valore della settimana precedente.
Ritracciamento fisiologico, realizzi dovuti alla chiusura fiscale dei fondi americani di fine ottobre, scossoni societari e bancari (ad inizio novembre è stato annunciato l’ennesimo fallimento di una banca americana, CIT Group, mentre ieri sono stati diffusi dati inquietanti dalle banche europee UBS e RBS), oppure si è davvero arrivati alla fine della corsa dopata dalle politiche monetarie straordinarie? Sicuramente ci si è fermati a riflettere sulla possibilità di continuare a cavalcare indisturbati l’onda senza incappare in qualche squalo: ma noi non crediamo che il giocattolo si sia (già) rotto, anche se indubbiamente ha perso parte dell’attrattiva che possedeva il giocattolo appena scartato. Scendendo nel dettaglio di considerazioni di breve periodo, la settimana corrente sarà sicuramente rivelatrice circa il proseguirsi di strategie di carry trade o un’intensificazione del rallentamento di questi giorni. Parimenti, la BCE, ha lasciato invariato il tasso di interesse di riferimento all’1%, mantenendo quindi le scelte di politica monetaria sostanzialmente immutate. Stesso discorso per la Bank of England, che ha mantenuto  i tassi nel range 0,25-0,50%. Sembrerebbe prematuro, ad ogni modo, che la BCE iniziasse il ritiro delle misure straordinarie sebbene i dati macroeconomici siano maggiormente confortanti, gli ultimi dati hanno evidenziato una ripresa della produzione industriale, dopo cinque trimestri consecutivi in rosso, mentre il PMI composito è tornato sopra quota 50 in novembre, e l’indice di fiducia economica della Commissione Europea è salito a 86,8.
Nonostante i primi segnali di ripresa permangono forti freni alla crescita (in primis la disoccupazione). L’intervento di uscita sarà molto graduale per evitare scossoni relativi alla riduzione dell’eccesso di liquidità e sarà accompagnato da un timido aumento dei tassi di interesse. “La BCE potrebbe dare avvio ad una strategia di uscita con l’inizio del 2010”: queste le profetiche parole di Axel Weber, numero uno della BundesBank. La politica americana, che sta alimentando questi carry trades, obbliga dunque altri Paesi a seguire le stesse politiche monetarie: già più di un analista sta parlando di bolla globale, che interessa tutte le categorie di asset, e che si sta gonfiando giorno dopo giorno. Sia nel caso non ci sia nessun intervento valutario, con le valute straniere diverse dal dollaro USA che si apprezzano gonfiando ulteriormente il disequilibrio legato al carry trade, sia nel caso interventi valutari e operazioni a mercato aperto tengano sotto controllo l’apprezzamento della valuta, con politiche monetarie quantitative conseguenti che alimentano una bolla dei prezzi delle attività in queste economie.
Ma tutto ciò non è detto che succeda subito, perché il denaro a buon mercato e l’eccesso di liquidità a livello globale possono continuare a spingere in alto i prezzi delle attività per un certo periodo. La correzione di questi giorni è stata in questo senso un monito per il mercato, che indubbiamente non potrà continuare a crescere in eterno, certamente non a questi ritmi. Ma, nonostante probabili rallentamenti e necessarie liquidazioni di posizioni (che secondo molti potrebbero comunque rallentare la ripresa anche fino a Natale), il trend di medio periodo sembrerebbe proprio ancora ben definito dalle scelte delle autorità bancarie centrali.
Negli ultimi tempi sul mercato delle valute si e’ assistito a decisi alti e bassi del dollaro. Quando i mercati azionari salgono il biglietto verde perde forza, principalmente contro l’euro, divenuta valuta di confronto. Mentre con mercati in difficoltà la valuta Usa torna a recuperare terreno. Ma allora cosa succederà nel prossimo futuro? Ai posteri, l’ardua sentenza!

 

21/12/2009 | Categorie: Il caso della settimana Firma: Vincenzo Polimeno