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Bankitalia, l’immobiliare vale un quinto del Pil

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Le riflessioni di Salvatore Rossi, Direttore Generale di Bankitalia e Presidente IVASS

Tantissime imprese si occupano di real estate: quelle che costruiscono immobili, ma anche quelle che li commercializzano, li gestiscono, intermediano fra mercato e risparmiatori. È una bella fetta dell’economia. Di questa può accelerare la crescita, ma la può anche frenare. In Italia il valore complessivo degli investimenti in costruzioni e della spesa per affitti e servizi di intermediazione immobiliare rappresenta in un anno quasi un quinto del PIL. In attività immobiliari è investito il 60 per cento del patrimonio complessivo delle famiglie. I prestiti alle famiglie per mutui immobiliari e quelli alle imprese del settore sono circa un terzo degli impieghi bancari totali.

Basterebbero questi tre dati a testimoniare la rilevanza del mercato immobiliare in un’economia avanzata come quella italiana. Ma per convincersene conviene riflettere più a fondo sulla peculiarità concettuale degli immobili, che sono simultaneamente beni di consumo, in quanto fonte di servizi abitativi, e beni di investimento, ma sono anche la principale garanzia reale sui prestiti bancari, anche su quelli non volti a sostenere investimenti immobiliari, oltre che il più importante motivo per cui una famiglia s’indebita.

Tutto ciò influenza l’economia per varie vie. Se i prezzi degli immobili tendono, per esempio, a salire, allora il rendimento atteso del business delle costruzioni salirà anch’esso e accrescerà l’accumulazione di capitale nel settore. Ma tutta l’economia ne trarrà un beneficio immediato, intanto perché le costruzioni attivano molto indotto nazionale e amplificano pertanto gli stimoli ciclici, poi perché una famiglia proprietaria di casa, se percepisce l’aumento della sua ricchezza come permanente, sarà portata a consumare di più e, infine, perché aumenterà il valore delle garanzie a fronte di prestiti bancari, rendendo questi ultimi più abbondanti o meno cari.

L’economia italiana è stata colpita gravemente dalla crisi finanziaria globale e poi da quella europea cosiddetta dei debiti sovrani, perdendo cumulativamente dieci punti di PIL in sei anni: di questi, due sono da attribuire alle costruzioni. Il flusso annuo di investimenti in costruzioni si era ridotto nel 2013 di oltre un terzo rispetto al 2007, soprattutto per l’inaridirsi degli investimenti pubblici, compressi dall’ansia di riequilibrare il bilancio dello Stato.

Da allora il settore immobiliare si è ripreso nel nostro paese, più per manutenzioni straordinarie di immobili già costruiti che per nuove costruzioni, con il contributo di incentivi fiscali alle ristrutturazioni e per l’esigenza di migliorare l’efficienza energetica delle abitazioni. Si consideri che il nostro stock residenziale risale per oltre metà a prima degli anni Settanta del secolo scorso, tra i più elevati indici di vecchiaia d’Europa. Gli investimenti pubblici sono rimasti al palo: l’anno scorso sono scesi al 2 per cento del PIL, uno dei livelli più bassi fra i paesi avanzati.

31/01/2019 | Categorie: Economia e Dintorni , Investimenti Firma: Redazione