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Banche centrali, le munizioni sono finite?

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Gli investitori azionari temono che la capacità delle Banche centrali di rispondere a shock negativi sia limitata, in quanto i tassi di interesse sono già molto vicini allo zero e ci sono dubbi circa l’efficacia di eventuali ulteriori programmi di quantitative easing. Persino nel Regno Unito, dove l’economia sta andando discretamente bene, il capo economista della Bank of England (BoE) parla di tassi di interesse negativi e il nuovo leader dell’opposizione ha proposto un QE per il “popolo”, nel quale la Banca centrale stampa moneta al fine di finanziare direttamente la spesa per le infrastrutture.  

 
Dal punto di vista di un investitore, tali dibattiti non sono incoraggianti e sono coerenti con un aumento dei premio al rischio sull’azionario e su altre asset class che dipendono dalla crescita economica. In poche parole, la “promessa” delle Banche centrali, per cui la politica monetaria può assicurare la crescita per gli investitori, sta diventando meno credibile poiché le autorità cominciano a essere a corto di munizioni.
 
E’ ragionevole pensare che i funzionari della Federal Reserve pensassero anche a questo a settembre, quando hanno preso la decisione di lasciare la politica monetaria invariata. Citando fattori globali, la Fed ha comunicato di voler vedere un ulteriore miglioramento del mercato del lavoro prima di essere sicura che l’inflazione ritornerà al target del 2%. In dichiarazioni successive, Bill Dudley della Federal Reserve di New York e il presidente della Fed, Janet Yellen, hanno asserito che, date le pressioni deflazionistiche provenienti dall’estero, tenteranno deliberatamente di surriscaldare il mercato del lavoro in modo da accrescere la fiducia nel ritorno dell’inflazione al target.
 
Sebbene il presidente Janet Yellen abbia affermato di aspettarsi un rialzo dei tassi quest’anno, la decisione è legata ai dati e in assenza di un rapido cambiamento da parte della Cina e dei Mercati Emergenti questa tempistica sembra improbabile. È atteso un ulteriore calo della disoccupazione nei prossimi mesi (come avevamo originariamente previsto), ma l’ostacolo più importante a un rialzo dei tassi è rappresentato dal contesto globale. Abbiamo posticipato le nostre previsioni di un rialzo dei tassi al prossimo marzo e abbiamo rivisto la traiettoria per i tassi, aspettandoci ora che questi tassi raggiungeranno l’1% a fine 2016. In precedenza, prevedevamo che per quella data i tassi avrebbero raggiunto il 2% e crediamo ancora che tale percentuale sia appropriata nello scenario di base degli Stati Uniti. Il cambiamento nelle nostre stime riflette l’apprezzamento del dollaro americano, i maggiori rischi globali e la consapevolezza che Yellen ha un approccio da “ultra-colomba”. 
 
A cura di Keith Wade, Chief Economist and Strategist, Schroders

  

10/10/2015 | Categorie: Investimenti Firma: Redazione