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Mercato azionario Usa, 9 anni di rialzi. E ora?

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Il mese di marzo ha segnato il 9° anno della fase rialzista del mercato azionario Usa. Molti investitori si stanno chiedendo cosa potrebbe causarne una flessione

Il 9 marzo 2018 ha segnato il nono anno dell’attuale fase rialzista del mercato azionario statunitense. È storicamente il secondo periodo più lungo di rialzo senza una correzione del 20%.

È naturale chiedersi se la tendenza stia per subire un’inversione. Come notoriamente affermò Sir John Templeton: “I mercati al rialzo nascono nel pessimismo, crescono nello scetticismo, maturano nell’ottimismo e muoiono nell’euforia”.

 

E, come molti esperti hanno notato, le fasi di mercato rialzista non muoiono di vecchiaia. Tuttavia, alla luce della recente accentuazione della volatilità di mercato statunitense, molti investitori ora probabilmente si stanno ponendo un interrogativo: cosa potrebbe causare una flessione sostenuta del mercato azionario statunitense?

 

È nato un toro

Si potrebbe certamente sostenere che l’attuale fase “toro” del mercato azionario statunitense sia nata nel pessimismo: è iniziata, infatti, il 9 marzo 2009, sul finire della crisi finanziaria globale. Dagli abissi della crisi, l’indice S&P 500 è salito di oltre il 300% toccando a gennaio di quest’anno il massimo storico e superando quota 2.800.

Non senza ostacoli, ma la fase rialzista statunitense ha superato le correzioni

Negli ultimi nove anni, l’attuale fase rialzista del mercato statunitense ha subito alcune notevoli correzioni, dove per correzione s’intende un calo uguale o superiore al 10%. Ha superato l’inizio e la fine dell’allentamento quantitativo negli Stati Uniti e la crisi in altre parti del mondo.

Per esempio, l’indice S&P 500 è sceso del 19% durante la crisi del debito europeo da aprile a giugno 2011. Tuttavia, il mercato azionario statunitense si è dimostrato resiliente e ha chiuso il 2011 con un rialzo annuale del 2%.

Anche la flessione all’inizio di febbraio di quest’anno, quando l’indice S&P 500 ha subito il maggiore calo percentuale in un solo giorno dal 2011, non ha dato l’impressione di fare deragliare troppo la fase rialzista. Nella seconda parte del mese, i titoli statunitensi hanno generalmente recuperato parte del terreno.

Tuttavia, molti osservatori di mercato stanno ancora monitorando la possibile evoluzione di alcuni dei fattori ritenuti all’origine della flessione statunitense a febbraio, quali le stime di inflazione più elevata e un aumento dei tassi d’interesse.

 

In che modo una Fed più aggressiva potrebbe incidere sui titoli statunitensi?

In occasione della riunione di dicembre 2017 la Federal Reserve (Fed) ha aumentato il tasso d’interesse di riferimento, (il tasso dei fed fund) di 25 punti base portandolo a un range dell’1,25%-1,5%. In tale fase, il mercato era leggermente scettico in merito alla stima della Fed, ma è sembrato iniziare a cambiare opinione.

L’accelerazione dell’inflazione nel 2018 potrebbe indurre la Fed a operare una stretta della politica monetaria più rapida, sebbene la Fed non abbia fornito indicazioni in tal senso.

In occasione del giuramento al suo insediamento come presidente della Fed, Jerome Powell ha dichiarato che “l’approccio della Fed rimarrà invariato. Oggi, l’economia globale si sta riprendendo con forza per la prima volta da dieci anni. Stiamo attuando un processo di graduale normalizzazione sia della politica di tassi d’interesse che del nostro bilancio”

Nessuno può prevedere quando finirà l’attuale fase rialzista del mercato azionario statunitense. La fase rialzista più lunga nella storia degli Stati Uniti durò da ottobre 1990 a marzo 2000.Si concluse con lo scoppio della bolla dot.com, dopo che le valutazioni dei titoli tecnologici persero qualsiasi correlazione con gli utili e la realtà.

Ecco perché i nostri professionisti dell’investimento sottolineano l’importanza di un processo d’investimento disciplinato che elimini la componente emotiva dagli investimenti.

 

I commenti dei gestori di Franklin Templeton:

“È importante sottolineare che pur potendo essere volatili nel breve termine, i mercati rispecchiano i fondamentali sottostanti delle società e dei paesi. A nostro giudizio, permangono i propulsori di crescita strutturali di lungo termine e un leggero aumento dei tassi d’interesse o dell’inflazione non dovrebbe avere alcun impatto negativo di rilievo”, ha detto Stephen Dover, il 13 febbraio 2018.

“Vi è molta compiacenza, si è fatta molta ingegneria finanziaria su alcune di tali ipotesi di bassi rendimenti e bassa volatilità. Nel momento in cui ciò dovesse realizzarsi, non sappiamo quali potrebbero essere le ripercussioni. E penso che questo sia uno dei pericoli della politica accomodante della Fed, l’aver accumulato questi fattori sconosciuti, che è fonte di preoccupazione. Quanto a noi, non sappiamo esattamente come crolleranno queste tessere del domino, ma sappiamo che uno dei fattori scatenanti sarà probabilmente rappresentato dai tassi [d’interesse] più elevati”, ha poi aggiunto, due giorni dopo, Michael Hasenstab.

Mentre alla fine dello scorso anno, il 26 dicembre 2017, Coleen Barbeau aveva detto:”Riteniamo che il 2018 sarà probabilmente un anno più difficile per i titoli nel loro complesso. Tuttavia, crediamo che possa creare maggiori opportunità per la selezione di singoli titoli. Prevediamo che le società non statunitensi con storie interessanti di crescita di lungo periodo e vantaggi competitivi inattaccabili possano distinguersi, indipendentemente dall’andamento generale dei mercati nel corso dell’anno”.

02/04/2018 | Categorie: Senza categoria Firma: Redazione